«Questo bubbone va estirpato», diceva Bruno Caccia riferendosi ai rapporti di alcuni colleghi magistrati del Tribunale di Torino con ambienti vicini alla mafia. Mario Vaudano, magistrato in pensione, fedelissimo di Caccia a Torino negli anni Settanta e Ottanta, ricorda quell’espressione e rievoca – davanti ai pm di Milano che indagano sull’assassinio dell’ex procuratore capo di Torino – il contesto ambientale di quegli anni. Nel ricordo aggiunge il proprio pensiero: «Sa cosa penso? A dei comportamenti delinquenziali di taluni magistrati su cui lui (Caccia, ndr) aveva davvero puntato l’obiettivo. Credo dunque che ci fosse una responsabilità morale, non so se concorso morale di questo gruppo di magistrati infedeli legata a dei personaggi che erano dei mafiosi ben incardinati a Torino e non solo a Torino. Lei capirà cosa intendo». Il verbale di cui riferisce La Stampa risale al maggio 2019 ed è finito nel fascicolo sull’inchiesta sull’omicidio di Caccia che la Procura milanese ha chiesto di archiviare non avendo trovato prove a supporto dell’ipotesi che del commando oltre a Rocco Schirripa, condannato all’ergastolo, facesse parte anche un altro affiliato alla’ndrangheta, Francesco D’Onofrio.
Vaudano racconta gli strani biglietti ricevuti da un magistrato sul quale Caccia avanzava sospetti e parla di una Procura che contava su giovani magistrati di spessore (La Stampa cita Marcello Maddalena, Gian Carlo Caselli, Francesco Saluzzo), ma anche su figure più discusse. «Un personaggio – è i virgolettato attribuito a Vaudano – era il segretario capo della procura generale di cui il procuratore Caccia non si fidava assolutamente. Guardi – racconta Vaudano ai magistrati – anche quando andavo su io cercavo di parlarci il meno possibile perché avevo percepito che era legato a gruppi di personaggi poco puliti ecco». Questi gruppi avrebbero fatto riferimento a un faccendiere della famiglia Belfiore. Questo funzionario – continua il magistrato – «era capace di fare qualunque cosa, Caccia me l’aveva detto di persona che stava facendo di tutto per mandarlo via perché era una persona poco pulita».
I pm milanesi chiedono a Vaudano se avesse idea di cosa di grosso sarebbe dovuto accadere di lì a poche ore (è la “profezia” di Bruno Caccia al figlio Guido il pomeriggio prima di essere ammazzato) e lui risponde così: «Se devo andare per deduzione posso collegarlo a questi comportamenti delinquenziali di alcuni magistrati su cui lui aveva veramente puntato l’obiettivo e voleva fare qualcosa non so anche fare delle perquisizioni. Perché se c’era da fare qualcosa anche se di competenza di Milano, in via d’urgenza lo avrebbe fatto e poi avrebbe trasmesso gli atti. L’idea che mi sono fatto – ha aggiunto Vaudano – è che ci fosse qualcosa che non mi aveva ancora fatto vedere completamente su questi magistrati infedeli e che dietro al gruppo c’era gente collegata sia al casinò di Saint Vincent sia alla ’ndrangheta».
Caccia «un giorno vedendo una Porsche parcheggiata» di quel faccendiere «davanti all’ufficio istruzione mi disse: Ma tu guarda che razza di persone devono frequentare i magistrati di quest’ufficio. Bisogna assolutamente togliere il bubbone». Vaudano dice ancora «che una volta quelli del gruppo Belfiore avevano tentato di avvicinarlo. Lui li ave- va trattati male, non in maniera volgare ma disse: “Ecco cosa succede quando si è abituati a ricevere le persone di quel tipo lì in questa procura. Finisce che questi pensano che tutto è possibile”».
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