CATANZARO Il due marzo 2021, nell’ambito del maxi processo Rinascita Scott, l’avvocato Michelangelo Miceli controesamina il teste Michele Iannello. Viene fuori un argomento non legato al processo: l’omicidio del piccolo Nicholas Green, avvenuto il 29 settembre del 1994 lungo la Salerno-Reggio Calabria. Un agguato: i killer, all’altezza dello svincolo di Mileto, presero di mira l’auto della famiglia Green, scambiandola per quella del loro vero obbiettivo, e fecero fuoco uccidendo il bambino che si trovava sul sedile posteriore.
Per questo delitto sono stati condannati in via definitiva Michele Iannello all’ergastolo e Franco Mesiano a 20 anni di reclusione.
Iannello, replicando alle domande dell’avvocato Miceli, rimarca il fatto, più volte ribadito, di essere estraneo a quell’agguato.
Iannello è un ex collaboratore di giustizia e dice che «nonostante il percorso con la giustizia», si trova «in carcere da 20 anni, e questa è una ingiustizia. Se non mi fossi pentito magari sarei uscito prima».
Due anni dopo queste dichiarazioni, il 10 febbraio 2023, la Dda di Catanzaro sente il collaboratore Tommaso Mazza, 73 anni, ex esponente di spicco del clan dei Gaglianesi di Catanzaro, che sul gruppo Prostamo-Iannello ci va giù pesante: racconta la faida contro i Galati, l’omicidio Evolo, il doppio gioco dei Mancuso. Le sue dichiarazioni finiscono nei brogliacci dell’inchiesta “Maestrale-Carthago”.
Anche Mazza parla dell’omicidio di Nicholas Green e sostiene, in sede di rilettura del verbale, che «il vero intento che stava dietro la falsa incolpazione dello Iannello per l’omicidio Green fosse quello di screditarlo come collaboratore, posto che aveva confessato molti omicidi ma non quello, al punto che effettivamente, una volta attinto da quella accusa, gli venne revocato il programma e fu condannato all’ergastolo. Fino a quel momento, infatti, si trattava di uno dei maggiori e più solidi accusatori dei Mancuso. Siamo al paradosso – annota la Dda – che lo Iannello avrebbe avuto convenienza ad assumersi la colpa di quell’omicidio, nonostante fosse innocente, ma evidentemente si rifiutò di fare questa cosa».
Tommaso Mazza ammette che «Michele Iannello, Pasquale Pititto e Nazzareno Prostamo erano poi molto attivi nelle rapine, fecero diversi colpi anche sull’autostrada. Nella specie utilizzavano come metodo quello di sequestrare gli autotrasportatori, impossessandosi dei camion che scaricavano con soggetti compiacenti e successivamente riconsegnavano agli autisti. Per una di queste rapine Iannello venne arrestato in quanto venne riconosciuto da uno di questi autisti per via di un tatuaggio».
Non solo rapine. Il gruppo sarebbe stato attivo anche nel traffico di droga «in particolare – dice il collaboratore – Giuseppe Prostamo, che trafficava stupefacente anche su Milano. Oltre ai Mancuso avevano rapporti con diverse consorterie attive in quella zona, che tuttavia ora non saprei ricordare con precisione. Ora che ricordo erano vicini anche con gli Accorinti. In particolare a Pietro Accorinti ed al fratello Peppe Accorinti. C’era poi Nazzareno, di cui non ricordo ora il cognome, una figura di spessore che mi sembra fosse di San Calogero o San Costantino. Si tratta di soggetti che erano tutti vicini ai Mancuso. Di certo so che Michele Iannello, Pasquale Pititto e Nazzareno Prostamo, in quegli anni, hanno commesso numerosi omicidi e che Luigi Mancuso se li teneva vicini per questo. Ne hanno commessi alcuni anche fuori regione».
Quando Mazza e Iannello e si frequentavano, quest’ultimo avrebbe riferito che «in quegli anni, fine anni ’80 inizio anni ’90, l’allora capo della polizia a Vibo Valentia era molto vicino alla famiglia Mancuso e che addirittura, in occasione di un omicidio, dopo il sequestro dell’arma del delitto, l’aveva scambiata con un’altra per evitare che le colpe ricadessero sul suo effettivo autore». (a.truzzolillo@corrierecal.it)
x
x