CATANZARO «In Svizzera, diverse cosche calabresi avevano studi di consulenza». E poi c’erano «faccendieri capaci di procurare fideiussioni false per avere entrature con i dirigenti bancari» e «ottenere linee di credito collegate a fideiussioni falsamente predisposte». Il paradiso del riciclaggio raccontato da uno che ci ha trascorso la propria seconda vita. Gennaro Pulice è stato un killer di ‘ndrangheta: ha iniziato ancora minorenne per vendicare l’omicidio di suo padre. Uccide, sale nella scala gerarchica, diventa un uomo d’affari. Frequenta commercialisti e colletti bianchi prima di trasferirsi in Svizzera grazie – così racconta ai magistrati dopo il pentimento – al pagamento di una mazzetta a un funzionario di origini calabresi. Uno studio in centro a Lugano (foto sotto), un bar di sua proprietà e affari in mezza Europa, «leciti e illeciti». Fino all’arresto che dà il via alla terza vita, quella da collaboratore di giustizia.
Nel 2019, da pentito, Pulice compare davanti ai magistrati della Dda di Catanzaro che indagano sugli affari finanziari delle cosche del Crotonese nell’inchiesta Glicine-Acheronte. Fa subito i nomi di due professionisti in contatto con le cosche cutresi: uno è residente a Torino «ma stabilmente dimorante a Lamone»; l’altro è emiliano: Paolo Signifredi, cassiere del clan Grande Aracri e pentito capace di rivelare i movimenti economici della cosca.
È passato molto tempo da quando Pulice faceva parlare le pallottole per la cosca “Cannizzaro-Daponte”: ora risponde con terminologia da avvocato d’affari. Dice ai pm antimafia che è la persona giusta a cui chiedere informazioni: «Ho personalmente gestito alcune operazioni di riciclaggio su canali bancari esteri. Premetto che la normativa italiana sul riciclaggio non permette di reinvestire grossi capitali illeciti in attività bancarie, per cui le cosche calabresi utilizzano spesso società e/o banche situate all’estero e massivamente in Svizzera e Germania». Nel “paradiso” svizzero il pentito ha – tra il 2013 e il 2015 – uno studio di consulenza legale e commerciale, la “Pulice Consulting”. Nascosto in piena vista, l’ex killer di ‘ndrangheta dice di aver interagito con due banche e di aver aperto assieme a un socio uno studio anche a Lubiana, in Slovenia. Era Lugano, però, il cuore degli affari. Assieme a un altro socio, Alessandro Silvio Silverio (anche lui diventato collaboratore di giustizia, ndr), Pulice avrebbe «organizzato diverse operazioni di riciclaggio, reimpiego di capitali, frodi. Posso citare i casi del Como Calcio, del Botev Plovdiv e del Viren Sundaski (in realtà la squadra si chiama Vihren Sandanski, ndr)».
È il calcio il nuovo terminale degli interessi finanziari di Pulice. Il pentito ne aveva già parlato in passato, senza fare il nome delle società di cui si sarebbe interessato. In tutti i casi, dice, «trattasi di squadre di calcio che abbisognavano di fideiussioni e di linee di credito per l’iscrizione al relativo campionato. Le fideussioni di cui vi sto parlando erano false: in pratica si predispone una documentazione a garanzia, che viene mostrata al funzionario di banca estero, compiacente, che attiva la corrispondente linea di credito, garantita». Botev e Vihren sono due società di calcio bulgare «che – parla sempre Pulice – avevamo rilevato (…). Anche in questo caso, l’iscrizione al campionato e comunque la disponibilità bancaria afferente le due società, venne amplificata per il tramite dell’utilizzo di fideiussioni false». Pulice fa il nome della società che avrebbe emesso la fideiussione e dei due referenti, entrambi non indagati nell’inchiesta Glicine-Acheronte. «La linea di credito falsamente attivata – spiega – era in capo ad una banca bulgara il cui funzionario era compiacente all’operazione. Quando parlo di funzionari compiacenti, intendo riferirmi a dirigenti bancari che ricevono materialmente la fideiussione falsa ed omettono i dovuti controlli sul documento. A quel punto si ottiene un’apertura di credito, legata a un collaterale falso che, per come evidente, permette ulteriori operazioni bancarie di reimpiego».
Il collaboratore di giustizia parla agli inquirenti di un’altra operazione che avrebbe osservato da molto vicino mettendo a disposizione una società «sedente a Bellinzona» e i conti di una banca di Chiasso. Si tratterebbe «di un cosiddetto “svuotamento di conti” effettuato tra Spagna, Germania e Svizzera» per conto di una famiglia di facoltosi industriali della Catalogna. «Questi – racconta Pulice – avevano la necessità di sottrarre al fisco spagnolo la cifra di 45 milioni di euro» e «tramite di un faccendiere russo che so chiamarsi Jordi», si misero «in contatto con il mio socio Alessandro Silvio Silverio. Posso anche aggiungere che il contatto tra Jordi e Silverio venne mediato da un hacker informatico» che, a detta di Pulice, sarebbe stato «detenuto per qualche tempo in Liguria insieme al mio socio».
Breve digressione: si tratta di un hacker bolognese (non indagato nell’inchiesta) che, dopo aver trascorso diversi anni in carcere, si è trasferito negli Stati Uniti e offre le proprie conoscenze alle grandi aziende che cercano di proteggersi dagli attacchi ai dati sensibili. Ha cambiato vita, scritto un libro nel 2021 e in quello stesso anno si è confessato in un’intervista al Corriere della Sera. La sua è una storia interessante: inizia tutto con la richiesta di un prestito. «A 26 anni – racconta al Corsera – volevo aprire un’azienda. Mi rivolsi a una banca per chiedere un prestito ma nessuno voleva concedermelo, perché non possedevo nulla. Così, violai i sistemi di Camera di commercio e catasto, facendo risultare intestati a mio nome 200 milioni di lire. Riuscii a ottenere il prestito». Suona simile alla creazione di fideiussioni false di cui parla Pulice. C’è un altro passaggio da tenere a mente negli esordi dell’hacker: «Vivevo a Roma e conobbi un uomo che in passato aveva lavorato per i servizi di informazione. Cominciò a commissionarmi operazioni di spionaggio industriale, in cui ero incaricato di raccogliere informazioni su aziende rivali, affidamenti di appalti, dirigenti». L’hacker ora ha messo un punto sul suo passato, ma i Servizi torneranno nella storia raccontata da Pulice.
Torniamo ora alla maxi evasione commissionata dagli industriali spagnoli al pentito. Per Pulice fu l’hacker «a indirizzare il russo Jordi verso di noi. Quando si mise in contatto con Alessandro e con me, al fine di legittimare la fuoriuscita dei soldi dai conti spagnoli sino in Svizzera io ho personalmente redatto delle fatture di consulenza per il tramite dello studio di Lugano, sia utilizzando come società emittente la “Capex”, sia la “Pulice Consulting”. L’operazione era così congegnata: i 45 milioni dalla Spagna sarebbero transitati, in prima battuta in Germania, presso la Deutsche Bank: con questo primo passaggio di denaro, si faceva apparire come la famiglia (gli industriali catalani, ndr) investisse nell’acquisto di prodotti derivati. L’operazione era fittizia in quanto i funzionari della Deutsche Bank, conniventi e pagati, sapevano che la destinazione finale del danaro era la Svizzera». In un’operazione come questa, ossia «quando dalla Spagna, come in un qualsiasi paese estero, appartenente alla Comunità europea, parte un bonifico di svariati milioni di euro, scattano dei controlli». Secondo Pulice i controlli interbancari tra Spagna e Germania sarebbero stati «elusi anche grazie all’intervento di personale dei Servizi segreti italiani, di cui non so fornire il nome, per come già specificato in precedenti altri interrogatori». Non è il primo riferimento ai Servizi segreti (e non sarà l’ultimo) nelle storie che legano settori dei clan di ‘ndrangheta a movimenti finanziari transnazionali. I nomi dei presunti agenti infedeli, però, non emergono da questo verbale.
La storia di Pulice è molto precisa: i dirigenti bancari tedeschi con il finto investimento in prodotti derivati realizzano una fideiussione da utilizzare in Svizzera. È una garanzia bancaria con la quale si aprono linee di credito «che dovevano permettere il prelevamento del denaro in contanti». Chi ci guadagna? Tutti. «In prima battuta la famiglia spagnola, che ottiene la fuoriuscita del denaro dalla Spagna fino in Svizzera, dove l’utilizzo del contante, almeno fino a qualche anno fa era consentito senza alcun controllo; in seconda battuta, io, il mio socio Alessandro, i funzionari della Banca (…). Nel caso di specie, io e i miei soci, dovevamo guadagnare la percentuale del 4%, escluse le spese per l’operazione, che avevamo in animo di reinvestire in ulteriori attività edili che avevamo a Lucerna». C’è un buco alla fine del racconto. Il pentito non sa dire nulla sul buon esito dell’operazione: «Sono stato arrestato e so che su questa vicenda procedono anche altre Autorità, come la Procura federale svizzera». Prima dell’arresto, Pulice e i suoi soci avrebbero lavorato per ampliare il loro business: «Avevamo acquistato una società panamense e una statunitense. Con queste società avevamo in animo di implementare la capacità di “spostare” fondi da un paese estero ad un altro, per conto di gruppi industriali (come quello spagnolo, ndr), sempre mediante l’utilizzo di fideiussioni ad hoc che, grazie alla compiacenza di funzionari bancari esteri permette la costituzione di linee di credito, ove poi prelevare in contante in paesi con minori controlli come la Svizzera, Panama o Cipro». “Nostra patria è il mondo intero”: viene in mente il testo di una vecchia canzone anarchica che diceva di ribellione e di libertà. Anche sulle strade della finanza criminale non esistono confini, ma l’unico scopo è fare soldi. Segno dei tempi. (p.petrasso@corrierecal.it)
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