REGGIO CALABRIA Organizzazioni ramificate su tutto il territorio nazionale e con proiezioni internazionali. Eppure le radici restano ben piantate nella loro terra d’origine, con i soliti accordi per spartirsi quartieri in riva allo Stretto e controllare in maniera capillare le estorsioni. Strada per strada, marciapiede per marciapiede. “Atto Quarto”, l’inchiesta della Dda di Reggio Calabria che ha portato all’arresto di 28 persone illumina vecchie e nuove emergenze: la capacità dei clan di rigenerarsi per controllare il territorio, la troppa vicinanza di alcuni imprenditori alle associazioni mafiose. Le illustrano gli inquirenti nella conferenza stampa.
Per il questore Brune Megale nell’operazione «sono coinvolti imprenditori che erano funzionali agli interessi della cosca. La loro attività si era arricchita grazie alla cointeressenza con le organizzazioni mafiose, per questo sono accusati di concorso esterno». Per questa fascia di imprese che si iscrive alla zona grigia (e forse peggio) ce ne sono altre che «hanno denunciato», sottolinea il questore. Che rimarca come l’operazione «dimostra l’attualità della cosca Libri e i suoi legami con le consorterie reggine, i De Stefano e i Tegano, attraverso legami attuali e contatti su tutto il territorio».
Il procuratore della Dda di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri parla della «necessità di dare continuità all’azione di contrasto alle organizzazioni mafiose. Oggi sono coinvolte persone che erano state condannate e che, uscite dal carcere, hanno ripreso le attività illecite che avevano lasciato». È un dato investigativo, questo, che «dimostra la capacità delle cosche di rigenerarsi. Ci sono imprenditori che hanno denunciato e altri che si sono serviti dei legami con i clan per trarre vantaggi». Una notazione sulla struttura dei clan reggini: «C’è una federazione, una unione di intenti perché le cosche sapevano che richieste plurime potevano portare le vittime all’esasperazione e a denunciare».
Alfonso Iadevaia, dirigente squadra mobile, descrive i Libri come «una cosca in piena espansione che, per volontà del suo vertice, aveva introdotto una gestione consociativa delle estorsioni». Un sistema – quello basato sulla capacità di offrire agli imprenditori una protezione – «che andava ben oltre i territori cittadini. Oggi quelli che più di tutti sono colpiti dal provvedimento sono proprio quelli imprenditori che vedranno un sequestro delle loro aziende, che hanno avuto “sponsorizzazioni” della ‘Ndrangheta per ottenere appalti». Iadevaia rivolge un appello agli imprenditori: «Questa è davvero una scelta perdente. Vogliamo e dobbiamo alimentare quel seme che si sta germogliando nella nostra città: noi ci siamo e possiamo offrire agli imprenditori la possibilità di uscire dalla morsa del racket». (m. r.)
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