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Latitanze, omicidi e sgarri. Le confessioni del pentito rossanese Nicola Acri

“Occhi di ghiaccio” parla di tutto. Le narrazioni del collaboratore di giustizia finiscono nell’inchiesta sul duplice delitto Sacchetti-Di Cicco

Pubblicato il: 17/10/2023 – 19:05
di Fabio Benincasa
Latitanze, omicidi e sgarri. Le confessioni del pentito rossanese Nicola Acri

COSENZA L’equilibrio tra cosche è in pericolo, ci sono in ballo gli interessi di due famiglie di riferimento: gli Abbruzzese di Cassano allo Jonio e i Farao-Marincola di Cirò. Tra cassanesi e cirotani la comunione di intenti viene meno come suggerisce il pentito Nicola Acri alias “occhi di ghiaccio”. E’ lo stesso collaboratore a riferirlo ai magistrati che indagano sul duplice delitto di lupara bianca SacchettiDi Cicco ricostruito, a distanza di 22 anni, grazie alle indagini coordinate dalla Dda di Catanzaro ed eseguite dai carabinieri del Raggruppamento Operativo Speciale e del comando provinciale di Cosenza, supportati da personale del comando provinciale di Crotone.

I dissapori

Acri inizia il racconto e segnala un episodio avvenuto subito dopo la sua scarcerazione. «Venne da me Giuseppe Spagnolo (indagato)» insieme ad un altro soggetto, «mi dissero di anomalie che minavano la unitarietà delle nostre cosche, che con gli Abbruzzese non volevano più avere rapporti». «Io lamentai loro che ciò non era possibile, che gli Abbruzzese si erano sempre comportati bene con i cirotani, avvisandoli preventivamente di ogni azione omicidiaria come quelle intraprese nei confronti del gruppo Forastefano ed erano sempre stati avallati dai cirotani», precisa il pentito. Le cose però erano cambiate. Durante la detenzione di Acri, i Forastefano si sarebbero avvicinati ai Cirotani spodestando gli Abbruzzese e rompendo quel legame criminale che avrebbe unito le cosche. Quella dei cirotani viene descritta dai magistrati come una cosca capace di creare collegamenti «con numerose ‘ndrine e realtà criminali calabresi (e non solo) nonché la capacità del locale di operare sinergicamente con esse nella conduzione di numerose e pervasive attività illecite». Oltre agli affari illeciti tipici dei clan (estorsioni, traffico di stupefacente e armi, omicidi), «è stato provato come l’organizzazione cirotana sia stata capace di infiltrarsi profondamente nell’intero tessuto produttivo territoriale, imponendosi in numerose attività commerciali e imprenditoriali, monopolizzando forniture di prodotti e servizi in ampi settori di mercato in danno di numerosi imprenditori locali, alterando drammaticamente il regime di libera concorrenza commerciale e di libero accesso al mercato».

Qualcuno vuole uccidere Peppe Spagnolo

Acri viene a conoscenza di uno “sgarro” nei confronti di Peppe Spagnolo commesso da una persona vicina ad un suo sodale. Il fatto si sarebbe verificato in Germania. «Peppe gli aveva chiesto un’auto per tornarsene dalla Germania e questa terza persona non aveva ottemperato». La persona che ha reso edotto il pentito dell’episodio «voleva che, come ritorsione, incendiassimo della auto nella disponibilità di questa persona, io obiettai che aveva investito anche soldi della nostra cosca (…) dissi che avremmo potuto al più picchiarlo in sua presenza». Questo racconto è importante per il collaboratore che ricorda di aver subito in quella circostanza un controllo dei Carabinieri di Rossano. «Trovai questa cosa strana: ero abbastanza sicuro che non potevano quelli della mia cosca essere oggetto di investigazioni in quel periodo per cui pensai che erano i cirotani ad essere sotto intercettazione». Acri si attiva e considerato che «ogni cosca ha le sue spie all’interno delle forze dell’ordine», riuscì ad ottenere una preziosa informazione: «i cirotani erano attenzionati». Il presunto informatore avrebbe aggiunto ad Acri un particolare rilevante. «Di aver saputo che in quelle intercettazioni si capiva» che qualcuno volesse «uccidere Peppe Spagnolo».
Nei giorni successivi a quella “confessione”, Acri avrà modo di appurare la veridicità del racconto quando un soggetto «mi confidò che aveva in animo di ammazzare Spagnolo e che aveva ricevuto l’avallo anche dei fratelli Farao».

L’incontro con Cataldo Marincola

Cataldo Marincola, presunto boss di Cirò, esce dal carcere e viene reso edotto «di tutte le vicende del locale cirotano occorse durante la sua assenza». E’ sempre il collaboratore Nicola Acri a sostenerlo, aggiungendo i particolari di un summit organizzato dallo stesso presunto boss a Cirò superiore. L’occasione è utile per dirimere tutte le questioni irrisolte, comprese «le problematiche e le ambiguità che il crimine cirotano aveva creato con i suoi alleati: la vicinanza con i Forastefano e l’allontanamento dagli Zingari; l’utilizzo dei marcedusani nell’omicidio di Bruno Natale e la mancanza di chiarezza dei cirotani nell’appoggiare gli Arena ed i Trapasso nelle faide con i cutresi». Cataldo Marincola ascolta e al termine della riunione si sarebbe rivolto ai presenti ammettendo «di avere avuto contatti con i Grande Araci ed i Nicoscia» e che «questi erano disposti a fare la pace con la garanzia del crimine cirotano». Secondo Acri, «Sia i membri della famiglia Arena e i Megna acconsentirono alla possibilità di addivenire ad una pace riservandosi però di parlare della cosa con le loro famiglie».

La latitanza e l’omicidio Pirillo

E’ l’estate del 2007, Cataldo Marincola decide di trascorrere le vacanze al mare mentre Nicola Acri, all’epoca latitante, si nasconde a Camigliatello in Sila. «Quando ero in Sila venni a conoscenza dai giornali che Vincenzo Pirillo venne ucciso in un agguato a Cirò Marina. Dopo l’omicidio anche Cataldo si trasferì a Camigliatello da me a trascorrere la latitanza». Il collaboratore di giustizia suggerisce alcuni dettagli relativi al fatto di sangue. «Ricordo che Cataldo mi disse che Gaetano Aloe aveva combinato un casino in quanto aveva sparato anche a una bambina. Non mi fornì ulteriori particolari sugli altri esecutori materiali dell’omicidio». I magistrati chiedono ad Acri di soffermarsi su quanto di sua conoscenza in merito alla latitanza di altri soggetti. «Silvio Farao si buttò latitante dopo Cataldo e ricordo che trascorse parte della latitanza a Mandatoriccio». (redazione@corrierecal.it)

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