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Ecco come la ‘ndrangheta migrante ha conquistato l’Australia

L’acquisto di terreni, la nascita dei “Castelli d’erba” e il diniego. Anna Sergi: «Il fenomeno criminologico più problematico»

Pubblicato il: 12/11/2023 – 20:10
di Fabio Benincasa
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Ecco come la ‘ndrangheta migrante ha conquistato l’Australia

COSENZA C’è chi la definisce ‘ndrangheta di esportazione, chi parla di vera e propria “colonizzazione”: la presenza in altre regioni italiane e in altri Stati di cellule della criminalità organizzata calabrese è ormai prassi consolidata. Le cosche “tradizionali”, legate alla “madrepatria” in Calabria favoriscono la nascita di nuovi gruppi criminali multi-etnici che operano in autonomia. E’ quanto accaduto, ad esempio, in Australia dove la presenza della ‘ndrangheta è storica. «La ‘ndrangheta d’Australia ha un battesimo ed è il 18 dicembre del 1922 in cui la leggenda vuole che arrivano tre fondatori della ‘ndrangheta australiana con la nave “Re d’Italia” che compie il viaggio da Perth, Adelaide e Melbourne lasciando in ognuno di questi porti – anche in questo caso si parla di mito – delle persone che poi diventeranno i primi capi della ‘ndrangheta», racconta al Corriere della Calabria Anna Sergi, docente alla University of Essex (Gran
Bretagna).

La ‘ndrangheta migrante

Quella ‘ndrangheta in Australia «era camorrista, estorsiva, poi trasformatasi nella mano nera per un periodo e in seguito diventata altro. La ‘ndrangheta come la conosciamo oggi, in Australia, c’è dagli anni ’60. E’ il momento in cui sia in Australia e sia in Italia, alcuni clan fanno il salto di qualità». Quali sono stati i business illeciti di riferimento della criminalità organizzata nella terra dei canguri? «Hanno comprato molti terreni su cui poi hanno fondato una serie di attività molto redditizie, alcune delle quali legali, molte delle quali illegali». I calabresi d’Australia «sono quelli dei “Castelli d’erba“, dei terreni di marijuana, nelle terre che avevano comprato con i soldi provenienti dall’Italia.

Il diniego

Accanto ai fiumi di danaro da riciclare, alle banconote investite in immobili e attività apparentemente lecite, i malandrini calabresi d’esportazione arricchiscono, molto spesso, il loro agire con narrazioni piene zeppe di falsi miti. Ma quello che la prof. Anna Sergi definisce un «fenomeno criminologico molto più problematico» è il diniego: «il rinnegare come strumento per fare entrare tutto all’interno di una cornice già precostituita». Ci faccia un esempio. «Uccido, ma solo quando devo oppure io commetto una serie di azioni criminali però vado al Santuario della Madonna di Polsi perché sono credente». «Ecco – continua Sergi – questo è un cortocircuito». «Ci sono almeno 4-5 stadi del diniego che sono studiati, non solo in riferimento al crimine organizzato, ed è un fenomeno decisamente più insidioso perché fa davvero credere alle persone di poter in qualche modo assolversi».

Anna Sergi

E’ corretto parlare di ‘ndrangheta 2.0? «Non credo ci sia un nuovo stadio della ‘ndrangheta. Che continua a muoversi all’interno della società, utilizzando come facciamo noi un certo tipo di tecnologi, sfruttando i processi di digitalizzazione ma è bene sottolineare come ci siano ancora i vecchi capi che non sanno usare il telefono me tre i loro nipoti – in Germania – utilizzano i telefonini criptati», continua Sergi. Che precisa: «parlare di una nuova era della ‘ndrangheta solo perché sono cambiati i modi di comunicazione sembra un’esagerazione». Siamo pronti a fronteggiarla? «Non eravamo pronti prima, non lo siamo adesso». Perché? «Non vorrei essere troppo pessimista, ma i problemi della Calabria, di cui la ‘ndrangheta è espressione, vanno al di là della repressione mafiosa. Ci sono delle ragioni profonde per cui la ‘ndrangheta è ancora parte della società calabrese e quelle ragioni sono ancora lì, non vengono assolutamente studiate bene, capite e fronteggiate».

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