REGGIO CALABRIA «Lui deve firmare che lui mi… apposta, sta relazione qua, quella che ha fatto… se io devo essere operato, lui mi deve dire che io devo essere operato con una certa urgenza. E poi, una volta operato, devo fare un ciclo di fisioterapia, hai capito? Questo devi dire, sennò è inutile che fa niente». A dettare parola per parola quanto necessario per un certificato medico è Domenico Arena, 69 anni, finito al centro di una inchiesta della Dda di Reggio Calabria che ha portato al suo arresto e a quello del figlio Rosario Arena, di 44, ritenuti vicini alla cosca di ‘ndrangheta Pesce di Rosarno. Nell’inchiesta sono indagati altri due soggetti dello stesso nucleo familiare: la figlia e sorella degli arrestati, Angela Arena (46) e il marito di lei Giuseppe Valenzise (53). Secondo gli inquirenti, tutti avrebbero imposto il proprio volere tramite una generale condizione di assoggettamento ambientale. Le indagini hanno permesso di evidenziare l’elevatissima capacità criminale degli arrestati, espressa in molteplici occasioni con metodologie tipiche degli aggregati mafiosi. Un modus operandi affiancato al ripetuto ricorso ad intimidazioni di natura fisica e verbale.
Gli indagati lasciavano intendere che «sarebbe finita male» in caso di rifiuto al medico che minacciavano per far ottenere a Domenico Arena, in quel momento detenuto in carcere, un certificato che attestasse l’impellente necessità di effettuare un intervento chirurgico e il successivo trattamento di riabilitazione neuro-motoria, per eludere il carcere e usufruire del beneficio degli arresti domiciliari. La vicenda viene raccontata nell’ordinanza dell’inchiesta. Le minacce subite dal medico sono state scoperte tramite intercettazioni telefoniche e ambientali. «Da tali intercettazioni, – scrive il gip – in particolare da alcuni dialoghi registrati nel giugno 2021, è emersa una vicenda certamente indicativa della personalità prevaricatrice e profondamente mafiosa di Arena Domenico». Dal medico, che aveva redatto una relazione in cui «consigliava» l’intervento chirurgico, «quasi a voler esprimere una facoltatività dello stesso», Arena pretendeva invece una relazione in cui venisse «attestata la necessità assoluta ed immediata di un intervento chirurgico urgente, con prescrizione di successivo obbligatorio ciclo di fisioterapia». Quello dello specialista, infatti, non poteva essere considerata una relazione «adeguata al fine della sottoposizione dello stesso Arena con urgenza all’intervento e, quindi, all’ottenimento dei connessi benefici penitenziari e, dunque non era funzionale a tale scopo».
Il professionista, che non rispondeva al telefono, era stato raggiunto anche mediante l’intercessione di un compagno di cella del detenuto e della consorte. In una conversazione tra il medico e Giuseppe Valenzise registrata nel mese di luglio 2021, lo specialista – si legge nelle carte dell’inchiesta – «cercava di spiegare al genero dell’Arena il significato delle parole da lui utilizzate nella relazione sanitaria, specificando l’espressione “si consiglia” in termini medici e ribadendo, comunque, che non riteneva urgente l’intervento. Nonostante gli sforzi esplicativi del medico, il Valenzise gli faceva pressione affinché la relazione, modificata secondo le indicazioni del detenuto, fosse inviata quanto prima al difensore dell’Arena, che l’avrebbe utilizzata per l’ottenimento del benefìcio mediante istanza al Magistrato di sorveglianza a termini di concessione della detenzione domiciliare».
Pressioni che cessano, rilevano gli investigatori, solo quando finalmente il dottore consegna la relazione così come richiesta. Pressioni che consistevano in vere e proprie minacce: Valenzise stesso, – scrive il gip – dopo l’incontro con il medico e l’ottenimento della relazione nel senso da loro richiesto e voluto, raccontava alla moglie Arena Angela che aveva avvertito il medico che, se la relazione non fosse stata corretta, lui “sarebbe diventato scortese per davvero”: «Gli ho detto…mah, sicuro professore, non è che poi…devo diventare scortese per davvero?!».
E dal carcere Arena gli aveva mandato più volte a dire che la relazione doveva essere scritta “bene”, altrimenti “sarebbe finita male”: «”Domani voi venite con la relazione fatta, dottore… domani venite con la relazione fatta perché mio suocero non può aspettare i comodi vostri…domani venite con la relazione fatta, sennò finisce male!” Chiaro e tondo! Si, si, si, cosi si deve dire?». (m.ripolo@corrierecal.it)
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