LAMEZIA TERME “Tracce di ‘ndrangheta” nel caso Moro. La pista di un ruolo – non secondario – della criminalità organizzata calabrese nel sequestro del leader della Dc a Via Fani a Roma il 16 marzo 1978, già emersa in diverse occasioni e soprattutto da diverse inchieste di alcune Commissioni parlamentari, viene ribadita anche nel corso dell’ultima puntata di “Report”, che ha dedicato quasi due ore di trasmissione al caso Moro svelando anche alcune novità rispetto ai dati finora acquisiti. Nella ricostruzione di report viene citata la figura di uno degli agenti di scorta rimasto ucciso nell’agguato di Via Fani, Francesco Zizzi che – spiega il servizio – «venne sacrificato dal lato oscuro delle mafie, quella che si intreccia con gli apparati segreti dello Stato».
“Report” raccoglie la testimonianza di Filippo Barreca, storico pentito di ‘ndrangheta, ricordando che Barreca «anni fa ha messo a verbale una sporca storia». Ecco cosa dice Barreca a “Report“: «Nel 2016 sono stato convocato dal giudice Salvini nell’ambito delle indagini condotte dalla Commissione parlamentare sull’uccisione di Moro, la seconda Commissione. Per rispondere ad alcune domande relative ai rapporti tra Br e ‘ndrangheta, durante il colloquio ho riportato cosa mi aveva riferito Rocco Musolino, boss appartenente all’élite dell’organizzazione mafiosa della ‘ndrangheta insieme ai servizi segreti, massoneria deviata e criminalità, e cioè – rimarca Barreca – che l’agente di scorta Rocco Gentiluomo, preposto quel giorno ad accompagnare l’onorevole Aldo Moro, è stato salvato. Al posto suo come sappiamo tutti è morto l’altro agente, Francesco Zizzi. Mi sono limitato a dire solo questo. Rocco Gentiluomo era originario di Sant’Eufemia di Aspromonte». «Naturalmente le dichiarazioni di Barreca dormono nei cassetti, restando senza spiegazione», commenta “Report”.
Questa “traccia” di ‘ndrangheta si aggiunge ad altre, emerse dalle relazioni delle varie Commissioni parlamentari di inchiesta, che evidenzierebbero quantomeno un coinvolgimento della criminalità organizzata calabrese nel sequestro Moro, come la presunta presenza del boss Antonio Nirta (classe 1947) in via Fani, la cui immagine immortalata quel giorno sul luogo della strage è stata riconosciuta dal Ris come aderente al 99% a quella del boss, e i sospetti, mai confermati, sulla presenza del legionario Giustino De Vuono utilizzato dalla famiglia Nirta di San Luca in quegli anni, o come le dichiarazioni di un altro pentito, Antonio Fiume, l’armiere dei Di Stefano, che ha parlato di due mitragliette Skorpion da lui in precedenza custodite insieme ad altre armi, come presumibilmente utilizzate quel giorno in via Fani. (redazione@corrierecal.it)
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