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L’autonomia differenziata corre. Tra forzature, vuoti normativi e finanziari e scontro politico

Tutto quello che c’è da sapere sul tema dopo l’approvazione del Ddl leghista al Senato. Cosa cambia per le Regioni. I dubbi sul percorso. Le posizioni delle coalizioni (con qualche “distinguo”)

Pubblicato il: 24/01/2024 – 11:11
L’autonomia differenziata corre. Tra forzature, vuoti normativi e finanziari e scontro politico

LAMEZIA TERME «Responsabilizza la classe dirigente del Mezzogiorno». «No, spacca l’Italia e danneggia il Sud e la Calabria». Lo scontro sull’autonomia differenziata voluta dalla Lega di Matteo Salvini e Roberto Calderoli si consuma da più di un anno e ora trova appendice nell’approvazione in prima lettura al Senato della riforma di matrice leghista. Tra fughe in avanti, forzature, dubbi, incongruenze, vuoti normativi (e finanziari) e posizioni politiche diversificate anche all’interno delle stesse coalizioni, ecco lo stato dell’arte.

La riforma

Anzitutto, ecco cosa prevede la riforma licenziata con il voto della maggioranza di centrodestra in Senato. ll Ddl sull’autonomia è una legge puramente procedurale per attuare la “riforma del Titolo V” della Costituzione messa in campo nel 2001. In 10 articoli definisce le procedure legislative e amministrative da seguire per l’applicazione dell’articolo 116 della Costituzione in modo da giungere a una intesa tra lo Stato e quelle Regioni che chiedono l’autonomia differenziata. Le richieste avvengono su iniziativa delle stesse regioni. Tra le 23 materie indicate sulle quali è possibile chiedere l’autonomia è annoverata anche la tutela della salute. La concessione di una o più “forme di autonomia” è subordinata alla determinazione dei Lep, Livelli Essenziali di Prestazione. Si tratta dei criteri che determinano il livello di servizio minimo che deve essere garantito in modo uniforme sull’intero territorio nazionale. La determinazione dei costi e dei fabbisogni standard, e quindi dei Lep, avverrà a partire da una ricognizione della spesa storica dello Stato in ogni Regione nell’ultimo triennio. L’articolo 4 del Ddl precisa, inoltre, che il trasferimento delle funzioni alle singole Regioni sarà concesso solo successivamente alla determinazione e al finanziamento dei Lep. Prevista una cabina di regia, composta da tutti i ministri competenti, assistita da una segreteria tecnica, collocata presso il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri dovrà provvedere a una ricognizione del quadro normativo in relazione a ciascuna funzione amministrativa statale e delle regioni ordinarie, con successiva individuazione delle materie o ambiti di materie riferibili ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale.

Calderoli e Occhiuto

Cosa cambia per le Regioni

Le Regioni avranno delle competenze in più rispetto alla situazione attuale, sulla base delle intese concordate con lo Stato.Secondo le opposizioni, le Regioni con maggiore capacità di spesa – e tra queste ovviamente non c’è la Calabria – saranno avvantaggiate, e questo genererà maggiori disuguaglianze nel Paese, con differenze sostanziali anche tra le aree con maggiore concentrazione urbana e le aree interne e montane. Il rischio, secondo il Pd, è che «cristallizzando le diseguaglianze si rendono le aree oggi più deboli, sul piano economico, ancora più deboli». Ma questo secondo la maggioranza di centrodestra è falso, perché i diritti essenziali saranno comunque garantiti.

Cosa sono i Lep

Per assicurare che non vi siano differenze sostanziali tra le Regioni nell’erogazione di servizi e prestazioni, la legge prevede che lo Stato, prima di concedere le funzioni autonome, definisca i Lep, i “Livelli essenziali delle prestazioni”, cioè il livello minimo di servizi da assicurare al cittadino in maniera uniforme in tutto il territorio nazionale. Inoltre, per evitare squilibri economici fra le Regioni che scelgono l’autonomia e quelle che non lo fanno, il disegno di legge prevede meccanismi perequativi. Un emendamento presentato da Fratelli d’Italia e approvato al rush finale prevede, infatti, che anche alle Regioni che non chiedono il trasferimento delle competenze siano trasferite risorse pari a quelle delle Regioni che invece lo richiedono. Questo però deve avvenire “coerentemente con gli obiettivi programmati di finanza pubblica e con gli equilibri di bilancio”. In pratica, dicono le opposizioni, si tratta di una clausola di “invarianza di spesa”, che mostra come nel Ddl non vi siano garanzie economiche tali da evitare che la riforma “spacchi” il Paese. La norma sui Lep, insomma, rischia di essere inattuabile perché per assicurare le stesse risorse a tutte le Regioni, e ridurre i divari tra i territori, serviranno molte risorse. Il percorso per il varo definitivo dunque non è breve tutt’altro, e poi ci sono diverse e serie incognite sul cammino ipotizzato dalla Lega, che confida di chiudere la partita entro le Europee: tra i dubbi più grossi appunto il fatto che la definizione dei Lep è rinviata a fine anno e manca completamente il loro finanziamento.

Le posizioni politiche

Sul piano politico, ovviamente si registra la divisione verticale tra centrodestra e centrosinistra, anche se non mancano diversificazioni all’interno delle coalizioni. L’autonomia differenziata è la “bandiera” della Lega ma ha avuto il via libera anche di Fratelli d’Italia, che ha un po’ annacquato la riforma con alcuni emendamenti per rendere più stringente il valore dell’unità nazionale, e di Forza Italia, che però nella maggioranza di centrodestra è quella con la posizione meno schiacciata sul verbo leghista. A interpretarla, nelle scorse settimane, il presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto, uno dei leader azzurri, per il quale «l’autonomia differenziata è una possibilità offerta dalla Costituzione, i Lep sono un obbligo e la Costituzione stabilisce che debbano essere garantiti a tutti i cittadini italiani allo stesso modo, non secondo il criterio della spesa storica, ma secondo i fabbisogni e i costi standard». Sul fronte delle opposizioni, no deciso del Pd, che peraltro ha un fianco un po’ scoperto perché i dem furono i primi ad aprire un varco all’incursione della Lega con la riforma del Titolo V della Costituzione, e del Movimento 5 Stelle. In posizione equidistante Azione di Calenda, che, a parte il voto favorevole dell’ex ministro Maria Stella Gelmini, si è astenuta: «E’ sbagliato pensare che il tema dell’autonomia differenziata possa essere un vessillo solo per le Regioni del Centro-Nord. Ciononostante, la proposta di questo governo non ci convince pienamente. Dove sono i livelli essenziali delle prestazioni?», ha detto ieri in aula il senatore Marco Lombardo, di origini calabresi». Ora il testo passerà alla Camera per l’esame e l’approvazione definitivi. (c. a.)

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