La recente scomparsa di Alexei Navalny, figura di spicco dell’opposizione russa, ha scosso le coscienze internazionali. Navalny, il cui nome riecheggia nei dibattiti e nelle proteste. La sua morte ha suscitato un’indignazione globale, un’onda di solidarietà che attraversa confini e culture. Eppure, in questo mare di attenzione mediatica e politica, un’altra tragedia, ben più vasta e sanguinosa, continua a svolgersi quasi in sordina. A Gaza, da ottobre 2023, la violenza ha mietuto la vita di almeno 29.092 persone, secondo le stime delle Nazioni Unite. La stragrande maggioranza delle vittime, il 70%, sono donne e bambini, innocenti stritolati in una guerra che sembra non vedere fine. Oltre 1.9 milioni di persone sono state costrette a fuggire dalle loro case, tra cui quasi un milione di donne e ragazze. Tre mila donne sono diventate vedove, e almeno 10 mila bambini potrebbero aver perso il padre a causa degli attacchi aerei. E, in una statistica che lacera il cuore, si stima che ogni ora due madri perdano la vita. Il report “Gender alert: The gendered impact of the crisis in Gaza” di “Un Women” getta luce su questa cruda realtà, ma, nonostante la gravità della situazione, il clamore internazionale sembra soffocato, quasi assente. La disparità di attenzione tra la morte di un uomo in Russia e le migliaia di vite spezzate a Gaza solleva interrogativi profondi e scomodi sulla natura della nostra empatia e del nostro senso di giustizia. Perché il mondo si mobilita per un singolo individuo e sembra voltare lo sguardo di fronte a una tragedia di proporzioni ben maggiori? Questa riflessione non intende sminuire la lotta di Navalny, ma piuttosto evidenziare un’amara realtà: viviamo in un’epoca e in un’area geografica, l’Occidente, dove alcune vite sembrano valere più di altre, dove l’indignazione e la compassione sono selettive. In questo scenario, emerge un senso di profonda disillusione per come vanno le cose nel mondo. La narrazione collettiva, plasmata da media e politica, spesso ci guida a ignorare le crisi che non trovano spazio nel ciclo di notizie 24 ore su 24. La morte di Navalny ci ricorda l’importanza della lotta per la libertà di pensiero ; la tragedia di Gaza, invece, ci pone di fronte all’impellente necessità di lottare per ogni vita come se fosse vicina a noi, indipendentemente dalla distanza o dalla presenza nei titoli di giornale. Fino a quando non saremo capaci di sentire il peso di ogni vita persa come una ferita collettiva, la nostra visione del mondo resterà incompleta, segnata da un’amarezza che riflette non solo la tragedia delle vite spezzate, ma anche la nostra incapacità di riconoscere in ognuna di esse un valore universale.
*Associazione Rinascita di Calabria
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