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«È grazie all’immobilismo della mia città che ho iniziato a creare le mie grafiche»

Moda e paesaggi urbani. Marco Santaniello, artista cosentino e cittadino del mondo: «L’idea di creare comunità è un’auto-ghettizzazione»

Pubblicato il: 03/03/2024 – 13:11
di Eugenio Furia
«È grazie all’immobilismo della mia città che ho iniziato a creare le mie grafiche»

Marco Santaniello è un artista grafico pop internazionale con sede in tutto il mondo. Ha un visione molto originale su molti dei concetti che abbiamo affrontato in queste prime 20 puntate di Calabrians: gli stereotipi, soprattutto, e la pratica di una sorta di «restanza» intermittente. «Pop», per lui, significa essere molto vicino alla comunità e alle persone, alla base dell’idea della sua arte risiede la convinzione che, in fondo, siamo tutti uguali. Ha iniziato il suo percorso artistico con i ritratti; chiunque può essere una superstar di fronte al suo “rainbow wall”. La sua carriera, in termini di mostre, è iniziata nel 2010 con alcune collettive in zona Tortona a Milano, per proseguire nel 2011 a Montreal in Canada e ancora la prima mostra importante a Manhattan New York nel quartiere di Chelsea nel 2013, proseguendo per Porto  Alegre, Seoul, Pechino nel famoso quartiere 798,  raggiungendo inoltre il traguardo di una prima personale in un Museo, in Cina, ad Yiwu nel giugno del 2017 e l’anno prima aveva inoltre collaborato con Belstaff UK per il Fuori Salone della Milan Design week. Importante anche menzionare la sua personale di 3 mesi nel LG Science Park Lgu+ a Seul nel 2019, in Sud Corea e quella in Messico, a San Miguel de Allende nel 2022. Oltre al museo della città di Yiwu, un’altra opera di Santaniello fa anche parte della collezione del Macrs (Contemporary Art Museum of Rio Grande du Sol) a Porto Alegre. Occasionalmente l’artista crea anche opere NFT per una delle gallerie che lo rappresentano, Galerie Bruno Massa. I prossimi impegni lo vedranno coinvolto nella fiera d’arte Art Revolution Taipei nel World Trade Center in Taiwan ad aprile e una personale a Seoul a maggio.

Scorcio di Cosenza nel quadro esposto in mostra a San Miguel de Allende (Messico)

• CHI È Marco Santaniello
L’inizio della sua carriera artistica però parte dal mondo della moda. Giornalista, creatore della T-Skirt, da lui brevettata – una t-shirt che si indossa al contrario come se fosse un pantalone –, sfilate non autorizzate in piazze come Londra, Parigi e Milano, ed altre autorizzate come quelle della Williamsburg Fashion Week End a Brooklyn NY. Inizia a creare grafiche, soprattutto ritratti, nel 2010, diventando inoltre l’artista del mese di aprile di uno dei più importanti siti di moda del mondo, Business Of Fashion, seguito dalla creazione del billboard pubblicitario per Moda Prima di Pitti Immagine, in Stazione Leopolda a Firenze. L’artista, nel frattempo, evolve il suo stile dedicandosi, inoltre, agli Urban Landscapes/Paesaggi urbani, iniziando a fotografare tutti gli angoli che catturavano la sua attenzione, un grande “passeggiatore”, un flaneur, come Ana Zavadil, critica d’arte Brasiliana, lo definisce in un suo testo critico. I suoi Landscapes rappresentano città e paesi che ha visitato avendo viaggiato moltissimo e vissuto in differenti nazioni per molto tempo. La sua sfera artistica, inoltre, include una serie di opere “satiriche” per mostrare il suo punto di vista sul mondo e sulla società odierna. Le opere create sono, usualmente, pezzi unici ed edizioni da 3 (dal 2024 l’artista crea solo pezzi unici) e tutte partono da una fotografia sul quale si effettua un lavoro vettoriale e di colorazione, usando due noti programmi di grafica. Vengono poi stampati su tela o altri supporti. Per la creazione di uno dei suoi pezzi occorrono almeno circa 130 ore sul computer, ma dipende poi dalla quantità dei dettagli presenti…

Quando e perché ha lasciato la Calabria?    
«Ho “lasciato”, se così possiamo dire, la Calabria, appena ho potuto, che nel mio caso erano i 18 anni, per andare all’Università di Perugia e laurearmi in Scienze della Comunicazione e Cool Hunting al Polimoda a Firenze, e ritrovandomi, in aggiunta, con una specializzazione in Pubbliche Relazioni per pub e discoteche locali, un qualcosa che mi ha aiutato molto nello sciogliermi un po’ ed incontrare, in un solo colpo, coetanei e non provenienti da tutte le parti d’Italia. Non mi sono mai piaciuti i confini, le distinzioni territoriali e cose del genere, in quanto io penso di essere un flaneur (riferimento alla definizione di Baudelaire: uomo che vaga oziosamente per le vie cittadine, ndr) del mondo. Negli ultimi 15 anni della mia vita ho vissuto in città come Londra, New York, Taipei, Tokyo, Seoul, Lisbona ed anche Berlino per un breve periodo, ed ho viaggiato in tantissimi posti che avevo sempre sognato di vedere come le Cascate del Niagara, le Piramidi, la Muraglia Cinese… La motivazione per cui ho lasciato la Calabria a questo punto penso sia molto chiara. La voglia di conoscere il mondo, così vasto ma così alla portata, almeno per me. Ho iniziato a creare la mia arte casualmente nel 2010, periodo in cui ero rientrato in Calabria dopo Londra e Milano, e, grazie anche all’immobilismo della mia città, ho iniziato a creare le mie grafiche partendo da ritratti di fashion blogger sui social media, che mi hanno poi pian piano portato, a New York, dove ho avuto la prima personale nel 2013 nel quartiere Chelsea di Manhattan».

Rimpiange o le manca qualcosa?    
«Una delle cose peggiori che un essere umano può provare in questa vita è il rimpianto. La mia forza interiore mi ha sempre spinto a non averne e posso serenamente dire che non rimpiango nulla delle scelte che ho fatto nella mia vita, almeno fino ad ora. Riferendoci alla Calabria, le cose che mi sono mancate, a parte le delizie culinarie cucinate in casa – che comunque esistono in tutto il mondo o quasi, per fortuna, specialmente in Asia – sarò sincero come sempre, non saprei di preciso, anche perché riguardo alle persone, le poche con cui sono in contatto, lo faccio molto spesso e quasi quotidianamente, così come anche con la mia famiglia con cui ho sempre comunicato per telefono, ogni giorno, in questi 15 anni. Riguardo ai luoghi, beh sono un esploratore, non mi manca mai un luogo specifico, probabilmente il giorno che mi mancherà un luogo, probabilmente lo sceglierò per mettere radici, ma chissà, io vivo molto alla giornata, in senso estremamente positivo. Posso invece dire cosa non mi manca assolutamente, e questo è riferito a tutta la penisola: un nervosismo perenne e continuo che ho sempre notato in giro, tanta energia negativa creata soprattutto dall’assuefazione che il nostro paese ha dei mezzi di comunicazione di massa».

Cosa salva della Calabria?  
«La parola “salvare” la trovo un po’ drammatica, in puro stile italiano, ma ci sono davvero tantissime cose stupende in Calabria, un esempio veloce, prendi la mia città natale, Cosenza. Un centro con un museo all’aperto, un ponte che collega la nuova città alla “vecchia” che si prolunga verso l’alto, con un Duomo e ritrovamenti fino ad arrivare ad un bellissimo Teatro con villa nei dintorni per finire ad un Castello Svevo che domina dall’alto. Nonché la vicinanza della città sia dalle zone di mare che di montagna, e che montagna, la Sila, piena di natura e di misteri archeologici, purtroppo lasciati quasi a loro stessi per il malfunzionamento generale della nostra Regione. Forse si potrebbe lavorare sulla mentalità ma per quello ci vuole un cambiamento culturale collettivo».

Cosa non le piace del posto dove vive adesso?    
«Questa è una domanda un po’ difficile cui rispondere, al momento, visto che mi trovo a Cosenza per motivi personali anche se mi reco, appena possibile, a Tokyo e Taipei, che sono città molto importanti per me sia a livello personale che artistico: ad aprile le mie opere saranno esposte in una fiera nel World Trade Center Taipei ed ho una personale a Seoul, in Sud Corea, a maggio. Poi si vedrà, ci sono molte cose in pentola ma verranno poi svelate man mano. Posso quindi dire cosa non mi piace di qui, e lo ribadisco: la sensazione di una mancanza generale di stimoli o di ambizioni. Per carità, non tutti devono per forza aspirare a chissà cosa, però ecco sento molta energia negativa in questa città, probabilmente anche da come stanno andando le cose nel paese. Ma, anche in questo caso, devo dire che ultimamente ho riscoperto anche positività che mi stanno permettendo di crescere molto a livello interiore. La vita materiale è solo un veloce passaggio, le cose più importanti avvengono all’interno di noi stessi. Vorrei velocemente menzionare Giordano Bruno: Verrà un giorno che l’uomo si risveglierà dall’oblio e finalmente comprenderà chi è veramente e a chi ha ceduto le redini della sua esistenza, a una mente fallace, menzognera, che lo rende e lo tiene schiavo… L’uomo non ha limiti e quando un giorno se ne renderà conto, sarà libero anche qui in questo mondo».

Com’è strutturata la comunità dei calabresi nei luoghi in cui ha vissuto?  
«Altra domanda un po’ scomoda per la velocità in cui mi sposto ma, aggiungerei, per fortuna, non ho mai incontrato una comunità calabrese, in giro per il mondo, forse qualcosa si intuiva in una zona di Brooklyn tra calabresi e siciliani, ma sono sempre stato contro l’idea di creare comunità di una specifica zona, una sorta di auto-ghettizzazione a cui sono assolutamente contrario. Dunque anche se ne avessi trovato una, certamente non ne avrei fatto parte. Paradossalmente si potevano incontrare queste comunelle calabresi più a Perugia, durante l’università, che altrove (ride)».

Qual è secondo lei la forza dei calabresi fuori dall’Italia?    
«I calabresi non sono tutti uguali solo perché sono nati in una stessa regione ed ogni persona è assolutamente unica, solo che spesso non sanno di esserlo o di avere qualche “potere”, sempre per colpa delle energie negative da cui si lasciano trascinare. Certamente, una cosa che non manca agli italiani è la “faccia tosta” che può essere un’arma a doppio taglio, infatti la maggior parte di italiani che ho incontrato all’estero, sinceramente, non mi ha mai fatto una grande impressione, specialmente in termini di rispetto delle  tradizioni e culture altrui. Non tutti ovviamente, sarà che io ho sempre preferito conoscere altre culture dunque raramente frequentavo italiani all’estero, ad eccezione di Tokyo dove ho un carissimo amico siciliano che vive lì da tanto e a cui tengo molto. Posso dire qual è la mia, di forza: certamente quella di amare me stesso e credere in me stesso al 100% senza mai esitare. Vorrei inoltre aggiungere che queste distinzioni regionali, non vengono assolutamente concepite all’estero, almeno nelle città dove ho vissuto, ad esempio, io sono un italiano per “loro” non un calabrese. Le idiozie che devo ancora sentire tra nord e centro e sud, qui in Italia, sono davvero penose. Ci sono tante cose che non mi piacciono in ogni regione, così come tante altre belle».

Ci sono, al contrario, degli stereotipi che ci inchiodano a luoghi comuni non più attuali o comunque folkloristici e frutto del pregiudizio?    
«La cosa più divertente e anche un po’ triste è sentirsi ancora dire cose del tipo: ah sei italiano, pizza, pasta, mozzarella! Ed io che devo fare quel sorriso di cortesia ma solo perché so della buona fede dell’altro interlocutore. Ho anche notato invece un enorme cambiamento di opinione sugli italiani, stiamo passando, come reputazione, dalle stelle alle stalle, grazie anche alle faccende politiche che ci hanno reso famosi in tutto il mondo, perché tanto è quello che poi fa notizia in tutto il mondo. Fatevi due conti. Comunque tranquilli, ci sono io a tenere/risollevare alta la nostra bandiera con chi mi incontra all’estero (sorride). Sono molto rispettato nel mio campo, al di fuori dell’Italia/Europa e questo mi fa molto piacere.  Mentre in Italia il detto nemo propheta in patria è sempre in voga: non sono mai stato rappresentato da nessuna galleria in Italia e neanche nella mia città! Pur avendo fatto mostre a NY, Porto Alegre, Seoul, Montreal, Pechino, San Miguel de Allende e tante altre fino anche ad una personale in un museo cinese. Quindi lasciamo stare il discorso, che è meglio».

Torna o tornerà in Calabria?   
«Al momento la Calabria è il posto perfetto per riorganizzare il tutto dopo la “grande truffa” che abbiamo vissuto negli anni recenti. Molte cose sono cambiate nel mondo dell’arte ma anche in tanti altri ambiti. Sto facendo epurazione di alcune rappresentazioni non molto professionali quindi punterò a restringere il cerchio, il detto pochi ma buoni è sempre valido. Sicuramente tornerò spesso, non sto poi così male qui, forse anche, in parte, “appagato” dai tantissimi viaggi ed esperienze di vita che ho avuto. Mi fermerò quando sarò davvero felice in un posto, non importa dove».

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