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Il grido d’aiuto di Maysoon Majidi, l’attivista curda in carcere in Calabria: «Sono innocente»

«Meglio detenuta in Iran, lì la mia colpa è essere una donna libera». I legali: «Il decreto Piantedosi mostra i suoi limiti»

Pubblicato il: 29/03/2024 – 13:03
Il grido d’aiuto di Maysoon Majidi, l’attivista curda in carcere in Calabria: «Sono innocente»

CROTONE «Se deve essere detenuta in Italia da innocente e senza riuscire a capire quali accuse le sono mosse Maysoon Majidi preferisce affrontare il carcere o pene maggiori in Iran dove conosce la propria colpa che è quella di essere donna e di voler vivere la propria vita». È quanto scrivono in una nota gli avvocati Luca Gagliardi e Shady M. Alizadeh, del Foro di Trani, difensori di Maysoon Majidi, regista ed attivista curdo iraniana arrestata a Crotone per favoreggiamento all’immigrazione clandestina a seguito dello sbarco di 77 migranti del 31 dicembre 2023. Da allora Maysoon Majidi è in carcere a Castrovillari. Alla base delle accuse, secondo la Guardia di finanza che l’ha arrestata, ci sono le testimonianze di due migranti secondo i quali Maysoon distribuiva cibo e acqua agli altri compagni di viaggio e faceva mantenere la calma a bordo, ma non avrebbe guidato materialmente l’imbarcazione, condotta invece da un cittadino turco. Maysoon Majidi, di 28 anni, è stata costretta a lasciare l’Iran nel 2019 dopo aver partecipato alle proteste contro il regime dove sono morte oltre 1.500 persone. È scappata nel Kurdistan iracheno continuando il suo attivismo per le donne curde e iraniane ma ha dovuto lasciare anche l’Iraq perché anche lì perseguitata e per questo si è imbarcata per raggiungere l’Europa. Martedì scorso, davanti al gip del Tribunale di Crotone Elisa Marchetto, si è svolto l’incidente probatorio che prevedeva la presenza dei testimoni al fine, come scrivono gli avvocati, di «evitare la cristallizzazione delle accuse ottenute senza il contraddittorio della difesa e senza che si possa, per la mancanza di registrazioni video o audio, verificare quanto detto in lingua originale». Nel corso dell’udienza si è scoperto, però, che non era possibile ascoltare i due testimoni i quali – dopo tre mesi – hanno lasciato l’Italia. In particolare la Guardia di finanza, affermano i due avvocati, ha comunicato di non aver prova della notifica della convocazione pur «avendo indicato la correttezza dell’indirizzo della struttura in cui il testimone è ospitato ed anche aver accertato la sua presenza nella stessa struttura». Per questo il Gip ha disposto di notificare l’ordine di comparizione per il testimone al corpo di polizia estero più vicino per poter svolgere l’ascolto a distanza del testimone. Gli avvocati Shady M. Alizadeh e Luca Gagliarci, hanno evidenziato come la vicenda giudiziaria dell’attivista iraniana mostri i limiti del decreto Piantedosi che – scrivono i legali – «predilige una presunzione di colpevolezza invece che la presunzione di innocenza prevista nel nostro ordinamento, che dovrebbe accompagnare chiunque cittadino italiano o meno».

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