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«La “Par condicio” prende le mosche e lascia scappare le vespe»

La comunicazione istituzionale in periodo elettorale, richiedendo alle Amministrazioni pubbliche – incluse le non coinvolte direttamente dal voto – i requisiti dell’ impersonalità e dell’ indispen…

Pubblicato il: 16/04/2024 – 19:33
di Romano Pitaro
«La “Par condicio” prende le mosche e lascia scappare le vespe»

La comunicazione istituzionale in periodo elettorale, richiedendo alle Amministrazioni pubbliche – incluse le non coinvolte direttamente dal voto – i requisiti dell’ impersonalità e dell’ indispensabilità, ha come effetto delle note-stampa senza i nomi di chi fa una dichiarazione o assume, nell’esercizio delle sue prerogative, un’iniziativa.
Sarà cosi anche stavolta, dalla convocazione dei comizi elettorali del 12 aprile fino al voto dell’ 8-9 giugno, per l’Europarlamento. Ma visto che in Italia si è continuamente in campagna elettorale, l’altro effetto è di comprimere stabilmente la comunicazione pubblica e, insieme,  il diritto del cittadino ad avere un’informazione completa e plurale.  
Per come la comunicazione istituzionale è disciplinata dalla legge sulla “Par condicio” del 22 febbraio 2000 (“Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica”), evidenzia un ritardo culturale del Paese e la refrattarietà del legislatore ad adeguare norme e strumenti ai tempi che cambiano.
Anche la recente polemica sull’attenzione spasmodica della politica circa l’utilizzo degli spazi radiotelevisivi pubblici e privati, al di là delle contingenti ragioni e torti, essenzialmente dimostra la difficoltà  a prendere atto (come hanno più volte dimostrato forze politiche meno televisive ma più capaci d’ interpretare i cambiamenti della società) che non basta andare spesso in tv per  vincere le elezioni.
Tralasciando però  quest’altro abbaglio,  dovuto all’ostinazione di ignorare  che il grande pubblico snobba l’informazione paludata e i talk show  con fatti e  bugie sullo stesso piano, sorprende che dopo 24 anni non si sia stati in grado di correggere  l’anacronistica  norma per cui (dalla convocazione dei comizi al voto) si fa divieto a tutte le Amministrazioni pubbliche “di svolgere attività di comunicazione ad eccezione di quelle effettuate in forma impersonale ed indispensabili per l’efficace assolvimento delle proprie funzioni”. 
Una norma che subissa di perplessità gli uffici stampa delle Istituzioni pubbliche, costretti, per non incorrere in sanzioni, a erogare un’informazione incompleta e a tratti paradossale. O a non erogarla affatto in caso di forti dubbi.
Accade, così, che mentre i cittadini sono ormai da anni dislocati, ogni giorno e  per innumerevoli ore, sui social network che consentono  propagande politiche illimitate e in cui spadroneggiano  news grossolanamente contraffate, l’Italia  seguiti a  porre freni irragionevoli alla comunicazione pubblica. “Irretit muscas, trasmittit aranea vespas”, direbbe Plutarco. Le tele dei ragni pigliano le mosche e lasciano scappare le vespe”.

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