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‘Ndrangheta a Milano, la logica del boss legato ai Piromalli: «Chiedi il mio aiuto? Allora mi prendo la tua azienda»

Ricariche PostePay, auto gratis per il figlio e richieste di denaro: il prezzo da “pagare” per aver chiesto la protezione di Giacobbe

Pubblicato il: 22/04/2024 – 10:49
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta a Milano, la logica del boss legato ai Piromalli: «Chiedi il mio aiuto? Allora mi prendo la tua azienda»

MILANO Un uomo potente e rispettato. All’occorrenza, in caso servisse recuperare crediti, sarebbe bastato alzare il telefono e chiedere. Una sorta di “pronto intervento” ben strutturato, sempre attuato attraverso modalità violente e, all’occorrenza, intimidatorie.
Così gli inquirenti della Distrettuale antimafia di Milano tratteggiano uno dei tanti aspetti di Salvatore Giacobbe, classe ’52, finito in carcere nel blitz eseguito dagli uomini della Guardia di Finanza di Milano insieme agli agenti della Polizia Locale e la collaborazione dei Carabinieri del Comando Unità Forestali. Giacobbe, però, non agiva da solo ma «insieme a soggetti lui vicini» scrive il gip nell’ordinanza. Tra questi, il figlio, Angelino, e Livio Pintus, entrambi arrestati nel blitz.

L’aiuto per un carrozziere

Sono almeno sei gli episodi ricostruiti dagli inquirenti nella fase investigativa. In un episodio riportato dal gip nell’ordinanza, il titolare di una carrozzeria nella provincia di Varese, «si sarebbe rivolto a Salvatore Giacobbe per dirimere contrasti di natura economica intercorsi con il socio» nonché per ricevere aiuto a fronte delle lamentele di un cliente. Il tutto si sarebbe svolto in un periodo temporale relativamente breve. Siamo alla fine del 2019. Gli inquirenti sono convinti di aver svelato una complessa vicenda estorsiva, attraverso il contenuto delle intercettazioni ambientali e telefoniche, insieme alle analisi delle movimentazioni sulla carta PostePay intestata a Giacobbe. Il “cliente” prima avrebbe usufruito dei “servizi” del gruppo di Giacobbe, poi ne sarebbe rimasto vittima.
Come ricostruito dagli inquirenti, dunque, l’uomo avrebbe raccontato a Giacobbe di volersi separare dal socio «con il quale non riusciva a trovare un accordo in ordine al prezzo di acquisto delle sue quote» scrive il gip nell’ordinanza non solo perché la sua richiesta era troppo esosa, tra i 20 e i 25mila euro, ma anche e soprattutto perché il socio «aveva “preteso” quella buonuscita con toni arroganti e irrispettosi». Salvatore Giacobbe, dunque, fiuta l’affare e decide quasi di imporre la sua “intercessione” «per costringere il socio a vendere le quote a prezzo ribassato (…) allo scopo di inserirsi nel controllo della carrozzeria, così da garantire alla sua attività criminale un costante rifornimento di auto», scrive il gip nell’ordinanza.


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Le auto e il 20% dei guadagni

Gli inquirenti indicano anche le date. Tutto sarebbe partito il 2 settembre 2019 quando il carrozziere, parlando con Salvatore Giacobbe, inizia a lamentarsi del socio. «(…) quando poi il nostro intervento parla chiaro! Parla chiaro, non vuoi che interveniamo noi?» chiede Giacobbe. «A me basta che se ne va perché non lo sopporto più!» gli fa eco il carrozziere. «… va bene, poi mando io a parlare con qualcuno… con questo qua che tanto è nella carrozzeria là con lui… che un po’ bisogna prendere un po’ “al lazzo” questo coso lordo…», così Salvatore Giacobbe spiega il “caso” al figlio Angelino, dimostrando di aver ben «presente il guadagno sotteso a questa sua offerta di aiuto», scrive il gip. «… voi quando parlate con il ragazzo qua… non è che non sapete chi ci sta dietro! È inutile che alzate la voce, c’è poco da alzare la voce… che ci sono amici, punto!». A parlare, in questo caso, è Livio Pintus. È a lui che Giacobbe si sarebbe affidato per risolvere le beghe tra il carrozziere e, questa volta, con un cliente particolarmente insoddisfatto, pregiudicato, già noto a Giacobbe, nonché «pronto a fare casino in carrozzeria». E in questa telefonata intercettata dalla pg, il messaggio rivolto al cliente appare quanto più chiaro possibile. Ma tutto ha un prezzo, soprattutto quando si chiedono favori di questo tipo. «… qua bisogna ampliare, bisogna ingrandire, bisogna fare tante macchine, e il 20% soprattutto…» dice ridendo Pintus a Giacobbe, spiegandogli di aver detto al carrozziere che a quel punto «la loro pretesa di guadagno doveva estendersi al 20% dei ricavi dell’azienda», scrive il gip nell’ordinanza. E trova sponda, ovviamente, in Giacobbe che rilancia: «Ci siamo noi ora! Tu fai questo, questo e quest’altro che diciamo noi!!! Ah no? Eh, sì eh…» «la perde questa carrozzeria e non fa niente!».

I soldi sulla PostePay

E non è un caso se, subito dopo, gli inquirenti cominciano a registrare «le prime “pretese” esplicite di denaro da parte di Salvatore Giacobbe nei confronti del carrozziere», annota il gip nell’ordinanza, mascherate dietro richiesta di prestiti. Come quello elargito l’11 settembre 2019 pari a 2mila euro, «promettendo a Giacobbe di rimediarne altri mille, ricordandogli comunque che il figlio Angelino continuava ad usare i mezzi della carrozzeria senza aver pagato il corrispettivo nemmeno del passaggio di proprietà», scrive il gip nell’ordinanza. Dagli accertamenti svolti sulla PostePay intestata a Salvatore Giacobbe «è stata poi trovata traccia di un ulteriore versamento per altri 1.999 euro eseguita il 12 settembre 2019».
«…no, aspetta un attimo! Ora gliele do due schiaffi nel collo!» «ma dai, lascialo stare… Questa era la cosa… uno che lavora con le macchine ci serve! Per qualsiasi cosa…». Questo lo scambio di vedute tra Angelino e Salvatore Giacobbe, il cui obiettivo «era quello di prendersi la carrozzeria, convincendo la vittima a rilevare le quote del socio» che continuava però a chiedere non meno di 25mila euro. «…tanto quello lì non acchiappa niente, non l’hai capito?» rassicura Giacobbe “la vittima”, lasciandogli chiaramente intendere che «qualsiasi accordo avessero fatto, lui comunque non l’avrebbe onorato e niente gli sarebbe stato fatto perché protetto», riporta il gip nell’ordinanza. Suscitando inevitabilmente tutta la sua gratitudine: «…vi ringrazio compare Turi, mi date sempre la sicurezza…» anche se Giacobbe, subito, gli ricordava che, da quel momento, tutte le decisioni sarebbero passate da lui. «…non prendere decisioni con nessuno se non ci sono io, ok?», «Va bene compare Turi, faccio come voi mi dite».


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L’intimidazione al socio

La questione, però, nei giorni successivi diventa sempre più complicata. «…guarda che lì, la società, la parte sua, la sto prendendo io, non hai capito?». È Salvatore Giacobbe a ribadire, a chiare lettere, che la società non avrebbe dovuto essere messa in liquidazione, come avrebbe voluto il socio del carrozziere «che continuava a chiedere 25mila euro come buonuscita», annota il gip nell’ordinanza oppure la cessazione della società, con la messa in liquidazione di tutti i beni sociali. «Tu non devi proporgli nulla!» era la raccomandazione di Giacobbe al carrozziere ma, nonostante l’avviso, il 23 settembre 2019, quest’ultimo gli comunica di «aver raggiunto, tramite un commercialista, un accordo con il socio» per una cifra di 25mila euro, scatenando le ire di Giacobbe che pretendeva un incontro con i due soci, spiegando alla vittima che «nessuna cifra doveva essere corrisposta al socio», annota il gip nell’ordinanza. Perché «se no è come abbassare le corna! Come cazzo te lo devo dire!». E ancora: «…a lui 15mila gli bastano!!! Ed il resto non prenderà nulla, non hai capito? Perchè se no è come aver abbassato le corna, ok? E che gli dai? 25 mila a questo fetuso di merda che prima ci ha fatto tribolare?». E ancora: «Mi stanno girando le scatole ed adesso mando qualcuno veramente ora! E faccio acchiappare a questo scemo là!».  
Ma è nell’incontro organizzato in un bar di Milano che Giacobbe spiega meglio alla vittima il “messaggio”. «… quando uno si mette in mezzo una persona come me, e mette mio figlio, significa che c’è la mia persona, la faccia… cioè significa che tu… sei più che un amico… capito?».

«Se mi aspetto 1000 lire mi dai le mie 1000 lire e la ditta»

Nel frattempo, come riportato dal gip nell’ordinanza, «Giacobbe continuava a pretendere somme di denaro a titolo di prestito», creando enormi disagi alla vittima, «…troppa pressione e va a finire che vado in tilt e non capisco più niente e magari faccio un danno a livello buono che magari…non mi sto tirando indietro, ma senza pressioni, tutto qua!», dice ad esempio in una conversazione, precedente all’ulteriore invio, in due tranche, di altri 2mila euro su PostePay.
Le reali intenzioni – secondo l’accusa – stanno tutte in una conversazione tra Giacobbe e il figlio Angelino. «(…) lo sai qual è il mio disturbo? Così, così e così! (…) lo metterò nella condizione giusta e gli dico: “stipendio, questo e quest’altro” (…) tu mi hai disturbato per questo, ed il mio disturbo è questo! Se ho speso 50 lire o se mi aspetto 1000 lire mi dai le mie 1000 lire e la ditta ormai quello te l’ha passata tutta e arrivederci!». (g.curcio@corrierecal.it)

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