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l’intercettazione

‘Ndrangheta, il viaggio estivo da Torino a Polsi per la “dote” al rampollo del clan Pasqua

Il racconto risalente all’estate del 2015. E sugli Agresta: «‘Sti venditori di canigghia non li guardavamo neanche in faccia»

Pubblicato il: 23/04/2024 – 11:27
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta, il viaggio estivo da Torino a Polsi per la “dote” al rampollo del clan Pasqua

TORINO L’estate del 2015 è quella che ha segnato una svolta importante per la ‘ndrina di Brandizzo. Perché il controllo del territorio, attraverso intimidazioni e imposizioni, assume una connotazione differente se supportata dalla cosiddetta “dote”. E per il conferimento è necessario raggiungere la Calabria e Polsi: una sorta di viaggio della fede per ambire alla “scalata” delle gerarchie.
Quello che è accaduto più o meno a Domenico Claudio Pasqua. È l’estate 2015 quando gli inquirenti della Distrettuale antimafia di Torino intercettano un dialogo col padre, Giuseppe Pasqua, «dal quale emergevano ulteriori ed inequivocabili elementi in ordine all’appartenenza alla ‘ndrangheta», scrive il gip nell’ordinanza che ha portato all’arresto di 9 persone nel corso del blitz “Echidna” della Dda di Torino. Entrambi, padre e figlio, sono stati arrestati.


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Il viaggio a Polsi

«(…) ti salutano tutti Pa’… siamo stati alla Madonna di Polsi… tutto, tutta la costellazione…». Così Claudio Pasqua spiega al padre il “senso” del suo viaggio in Calabria. E quando Peppe Pasqua gli chiede «ti hanno dato qualcosa in più o no?» e ancora se «i capretti li avete mangiati?», il figlio «non rispondeva a voce ma verosimilmente con un gesto», scrive il gip poiché, nonostante l’insistenza del padre, alla domanda non seguiva alcuna risposta verbale.  È un fatto storico che, il Santuario della Madonna di Polsi, rivesta un forte valore simbolico nell’iconografia della ‘ndrangheta. È qui che, secondo la tradizione dell’associazione mafiosa, sono custodite le “12 tavole della ‘ndrangheta”.  E la ricorrenza religiosa della festa della Madonna coincide con la riunione del “Crimine” dell’organizzazione ed in quell’occasione vengono conferite doti e cariche della consorteria criminale. Per questi motivi il viaggio in Calabria di Claudio Pasqua assume un valore rilevante nell’inchiesta torinese.  

Il pranzo in Calabria

Il giorno dopo, è il 3 settembre del 2015, a bordo della propria auto gli inquirenti intercettano un’altra conversazione tra i due Pasqua, in grado di fornire agli inquirenti notizie di assoluta rilevanza investigativa sui rapporti intrattenuti dai Pasqua con altre famiglie ‘ndranghetiste. E, in particolare, Claudio Pasqua racconta al padre di un episodio avvenuto durante un incontro al quale aveva partecipato durante il suo soggiorno estivo in Calabria, nel corso del quale si era convinto di aver fatto una buona impressione ad un soggetto presente al pranzo, tanto che quest’ultimo si era rammaricato di non aver fatto prima la sua conoscenza. «…questo qua Pa’, a me mi ha preso in simpatia… mi ha detto “dispiace che non vi ho conosciuto vent’anni fa” … quando eravate ragazzo dove andavate… quando venivate in Calabria dove andavate?» «e gli ho detto “no… venivo ogni tanto ma ad Agnana” (…) a Siderno… dice… e mannaia…». E il padre gli fa eco: «(…) ma io ho conosciuto a ‘Ntoni, ‘Ntoni Macrì… Peppe Barranca… conosco tutti eh…» «(…) ti ricordi… no? Io ero intrallazzato bene là!». I riferimenti di Pasqua sono facilmente individuati dagli inquirenti perché, come si evince dagli atti della nota indagine “Infinito” della Distrettuale antimafia di Milano, alcuni appartenenti alla famiglia Barranca risultano aver ricoperto incarichi di vertice sia all’interno dell’associazione mafiosa denominata “Lombardia” sia nel locale di ‘ndrangheta di Milano. Mentre Antonio Macrì a cui fa riferimento Pasqua, è stato uno dei capi storici della ‘ndrangheta, poi ucciso a Siderno nel corso della nota “prima guerra di ‘ndrangheta”, consumatasi nella provincia di Reggio Calabria tra il 1974 ed il 1977.


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Gli Agresta e il pentito

Nel corso del dialogo, Claudio Pasqua spiega ancora al padre: «(…) ho mangiato a Piatì, dai parenti di Antonio Agresta…» «mi ha detto… purtroppo anni fa ‘sti venditori di canigghia… noi non li volevamo… non li guardavamo neanche in faccia…».  Il figlio, dunque, spiega al padre – come riporta il gip nell’ordinanza – che «Luciano Costanzo gli aveva riferito che anni addietro gli Agresta, potente famiglia ‘ndranghetista da anni operativa in Piemonte ed in particolare in Volpiano, non contavano nulla e non godevano di rispetto». Nel prosieguo del dialogo captato dalla pg, annota ancora il gip di Torino, i due Pasqua cambiano argomento, soffermandosi sulla figura di Giuseppe Taverniti. In particolare, Peppe lo definiva «un elemento valido» e racconta al figlio delle sue «numerose ed influenti conoscenze, tra le quali citava la famiglia Mancuso di Limbadi» aggiungendo che, tuttavia, il suo unico neo «era rappresentato dal percorso di collaborazione con la giustizia intrapreso dal fratello Enzo». «…conosce un sacco di gente… gli ho detto io “ma i fratelli vostri… ah!” se l’è cantata da solo… mi ha detto “io purtroppo volevo dirvelo ma non sapevo come ve lo dovevo dire” gli ho detto io “ditemi, ditemi”» «e dice “mio fratello è un pentito” … e mi sono fermato là… perché? Adesso lo devo acchiappare e dire…».  (g.curcio@corrierecal.it)

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