COSENZA Il 28 giugno 2024 è una data cerchiata in rosso per la famiglia di Cesare Ruffolo, deceduto per una trasfusione infetta nel luglio del 2013. Ciò che spinse la Procura della Repubblica di Cosenza ad avviare le indagini, poi sfociate nel procedimento “Sangue Infetto“, fu la morte – il 4 luglio 2013 – del pensionato di Rende, che aveva effettuato una trasfusione – nel centro trasfusionale dell’azienda sanitaria “Annunziata” – con una sacca che poi si è scoperto essere contaminata dal batterio letale serratia marcescens. Nell’estate torrida del 2013 l’evento destò molto clamore. «È arrivato in ospedale come “codice bianco” e il mese precedente aveva fatto tutti i controlli – dichiarava agli organi di stampa Renzo Ruffolo figlio del defunto dopo la denuncia in procura-. Insomma, non c’era nulla che lasciasse presagire quanto è successo. Dopo 11 anni di battaglie giudiziarie e una serie di cause penali e civili, si arriva a sentenza.
I difensori della famiglia di Cesare Ruffolo, gli avvocati Massimiliano Coppa, Luigi Forciniti e Giovanni Ferrari hanno espresso soddisfazione per il duplice risultato raggiunto in sede penale e civile auspicando una definizione certa della vicenda mediante la più ampia tutela dei diritti definitivamente lesi alla famiglia per la quale «è stato richiesto un risarcimento di tredici milioni di euro». (f.b.)
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