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L’intervista

Lotta alla ‘ndrangheta, Manzini: «Unica speranza dai giovani»

Il sostituto procuratore a Panorama sulla presenza dei clan nel Vibonese: «Hanno approfittato della fragilità socio-economica del territorio»

Pubblicato il: 28/04/2024 – 11:45
Lotta alla ‘ndrangheta, Manzini: «Unica speranza dai giovani»

CATANZARO «Questa parte di Calabria è letteralmente affascinante, con le coste rocciose e frastagliate che si rompono per fare spazio a insenature in cui la sabbia bianca e ne ricorda paesaggi esotici. Non è un caso il nome di Costa degli Dei, per il forte legame con l’antica Grecia e le sue colonie in quest’area. Da Nord si rincorrono Pizzo, Vibo Marina, Briatico, Marina di Zambrone, Parghelia, Tropea, Capo Vaticano – uno dei promontori più affascinanti al mondo – Joppolo, Nicotera Marina: località turistiche famose e frequentate, grazie al mare color smeraldo. Insomma, un incanto. Ma…». Così Marisa Manzini, attuale sostituto procuratore generale presso la Corte di Appello di Catanzaro descrive, in una lunga intervista pubblicata su Panorama, la costa del Tirreno vibonese. Una costa teatro con il Comune di Tropea dell’ultimo scioglimento per infiltrazione mafiosa. Un territorio particolarmente conosciuto da Manzini che per anni come applicato della Distrettuale catanzarese si è occupata dei clan Mancuso di Limbadi e della ‘ndrangheta in questa zona della Calabria. «Mi resi conto che – racconta di quell’esperienza la magistrata – il territorio così tanto affascinante, ricco di moderne strutture alberghiere e di villaggi turistici dallo stile esotico, strideva letteralmente con la vera urbanizzazione locale che, invece, offriva il volto di una Calabria povera e maltrattata. Un esempio su tutti? Quella lunga teoria di fabbricati sparsi a ridosso della costa, verso l’altopiano del Poro (la parte montuosa della provincia di Vibo, nda) spesso rimasti incompiuti, con le facciate a mattoni. Un pugno nell’occhio, se rapportato al paesaggio rigoglioso e alla ricchezza turistica».
E sulle ragioni della presenza così asfissiante dei clan nel Vibonese, Manzini dice: «In parte, perché certamente la Calabria è una terra “storicamente” marginale. Nonostante l’aulico passato magno-greco, è mancata la lunga fase dell’autonomia comunale, circostanza che ha negato o ritardato la stessa conclusione della fase feudale. Nei secoli è andato scemando, nella società calabrese, il concetto di senso dello Stato, ovvero il riconoscimento dal basso -dal popolo- che lo Stato sia un’entità presente con le sue strutture, le sue leggi, le sue terminazioni periferiche. A ciò si aggiunga l’impoverimento del territorio da sempre culla di una società parentale nella quale emergono, soprattutto, i legami familiari, di sangue, di possesso, di fedeltà».
Ricostruendo la sua attività di magistrato nel Vibonese, poi Manzini spiega la presenza del clan Mancuso nella zona: «Questo clan ha approfittato dell’eccessiva fragilità della struttura economica e della polverizzazione delle attività economiche, giungendo a conquistare, praticamente in condizione di monopolio crescente, i più disparati settori dell’economia: dal turismo, alla pesca, dall’allevamento al terziario. Poi la predominanza di imprese a carattere individuale ha reso le aziende stesse molto più vulnerabili ai comportamenti ricattatori ed intimidatori».
Eppure la Costa degli Dei resta una delle più ricche per offerta turistica. Senza però avere ricadute positive sul territorio. «Perché – spiega Manzini – chi frequenta grandi complessi alberghieri e villaggi scintillanti (e la Costa degli Dei ne è ricoperta…) alla fine vive esclusivamente all’interno del mondo ristretto del resort in cui è ospitato». Da settore turistico, secondo la magistrata, la ‘ndrangheta avrebbe tratto benefici non solo nel Vibonese. «La Calabria è una terra che ha nel turismo, appunto, e nelle imprese primarie le sue storiche vocazioni economiche e se queste (agricoltura, pesca, servizi della ristorazione, industrie di trasformazione, molte delle quali a conduzione familiare) mancano del denaro per continuare nella propria attività, è giocoforza l’intervento delle cosche, pronte a rifondere il proprio denaro illecito…».
E sugli esiti della Commissione d’accesso che ha portato allo scioglimento del Comune di Tropea, Manzini «emerge uno spaccato che definire drammatico è un eufemismo». L’intervista si conclude con un messaggio di speranza. «Parlare di ‘ndrangheta nelle scuole – spiega a Panorama, Manzini – trattare – con i ragazzi – delle conseguenze devastatati che le mafie hanno prodotto nella società e nella vita politica, dei falsi miti che porta appresso, rappresenta l’unica possibilità di formare nuove classi dirigenti più consapevoli e pronte a contrastare la ‘ndrangheta. Significa avviare un cambiamento nella cultura di un popolo che deve combattere e rifiutare l’etichetta di mafiosità». (redazione@corrierecal.it)

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