VIBO VALENTIA «Domenico Mancuso, fratello di Antonio, figlio di Peppe ‘mbrogghia, nonostante ci fossero contasti allora con il gruppo di “Scarpuni”, con mio padre ha avuto sempre un ottimo rapporto. Attorno al 2003, quando abbiamo dovuto fare il passaggio dei clienti al “Sayonara” perché ci avevano ritirato le licenze, lui non sapeva di chi fossero. Andò da Francesco Giuseppe Bonavita e gli chiese questi clienti di chi fossero. Poi andò da mio padre e gli disse: “se è per te, puoi portare quanti clienti vuoi”». È uno stralcio dei racconti forniti ai magistrati della Dda di Catanzaro da Antonio Accorinti, 44enne collaboratore di giustizia e figlio del presunto boss di ‘ndrangheta, Antonio.
«Con mio padre si rispettavano, anzi è capitato pure che venisse a trovarlo in quel periodo. Mi è capitato due o tre volte che è venuto a trovarlo passando lì dal lido o da me. Un giorno mi portò in una di queste due occasioni. Parlando di un villaggio di Zambrone che era suo amico, mi disse “vieni che ti porto io e vediamo se ti può dare i clienti per le Isole Eolie”. Si trattava del villaggio Geranio, ci andammo insieme in macchina io e lui…». Poi Accorinti racconta ancora: «Era marzo 2003, comunque una settimana, due o tre giorni prima dell’apertura e ci ritirarono le licenze commerciali del villaggio, quindi abbiamo dovuto trovare una sistemazione a questi clienti perché c’era già un contratto in essere altrimenti saremmo andati in penale e l’unica struttura che trovammo alla portata, l’unica struttura che era idonea, come numero di camere e come grandezza e che era già pronta all’apertura era il Sayonara, quindi tramite le conoscenze di Bonavita Francesco Giuseppe con il proprietario del Sayonara “toruccio”, che non mi ricordo il cognome, si spostarono questi clienti già all’ arrivo già con i pullman, si indirizzarono questi clienti lì…». «Nel momento in cui che arrivano questi clienti, si avvicina qualcuno lì, non so chi a Bonavita e “toruccio”, e chiede “senza permesso come mai avete portato questi clienti qui?”. Bonavita corse a Briatico, chiamò mio padre che scese a Nicotera, incontrò Domenico Mancuso e gli disse “se sono per te portane quanti ne vuoi che non ci sono problemi se è una cosa tua personale”, perché erano sempre quei momenti che c’erano le frizioni tra le due cosche».
Nel suo racconto ai magistrati, Accorinti parla anche del “superboss” Luigi Mancuso. «Si dice che era il capo del Vibonese, di tutto il Vibonese in tutta la provincia di Vibo, pare che abbia avuto degli incontri con mio cognato e con Prostamo riguardo al Club Med… ha avuto delle riunioni con mio cognato, Muggeri Salvatore e a Prostamo Saverio, riguardo i fatti inerenti al Club Med o ex Club Med che dal, dopo la carcerazione di “Scarpuni”, riguardo le estorsioni del Club Med, facevano riferimento solo… ci ha esclusi insomma… dopo l’ultima carcerazione di “Scarpuni” c’era in ballo ancora il “Club Med” e c’era questa estorsione in ballo riguardante le ditte di tramite in cui facevano la fattura falsa… fino a quando c’era “Scarpuni” la prendeva Prostamo e la portava e la divideva con “Scarpuni”. Da quando non c’è stato più “Scarpuni”, visto che la ditta che faceva la fattura era una ditta riconducibile ai Piromalli, facevano tutto loro…».
A proposito dei villaggi, Accorinti ha spiegato ai pm: « Dopo l’arresto di “Scarpuni” sono intervenuti Gallone e La Malfa, non so se tramite input di Luigi, ma loro non c’entrano perché tramite input si presentavano a nome suo e se la sono vista loro, al tal punto che dopo che è finito il contratto con il Club Med, volevano pure estrometterli dal lavoro dei taxi…». Secondo il pentito, dunque, il gruppo cerca di prendere il sopravvento, «ma non sugli appalti, quelli li gestiva Stillitani, sceglieva tutte lui le ditte». Secondo il racconto di Accorinti, Gallone e La Malfa «facevano pressioni durante le riunioni, era evidente, da quanto mi ha raccontato mio cognato, che Gallone e La Malfa andavano spesso e già li tartassavano un pochettino… a più di una riunione che li hanno chiamati a partecipare, anche ad una riunione in cui gli hanno chiesto anche di portare delle fatture per vedere la mole di lavoro che facevano… e in una c’era la presenza di Luigi…». (g.curcio@corrierecal.it)
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