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inchiesta “ducale”

Daniel Barillà, «longa manus» della cosca Araniti e «intermediario» tra ‘ndrangheta e politica a Reggio

Il genero del boss Araniti, “il Duca”. «corteggiato» perché «capace di movimentare consensi elettorali». «Tutti sanno dei legami del Barillà con la famiglia Araniti»

Pubblicato il: 11/06/2024 – 13:54
di Mariateresa Ripolo
Daniel Barillà, «longa manus» della cosca Araniti e «intermediario» tra ‘ndrangheta e politica a Reggio

REGGIO CALABRIA «Una sovrapposizione tra cultura sociale, espressione di una parte della società civile, presente sui territori che controlla la cosca, e cultura mafiosa ‘ndranghetistica che non fa intravedere speranze per la liberazione del locale territorio dal distruttivo e devastante potere ‘ndranghetistico». Un potere a tutto campo, quello della cosca Araniti attiva a Reggio Calabria, capace di influenzare e indirizzare anche le scelte politiche e i voti. Un dato che «non lascia sperare che il territorio possa liberarsi dal controllo mafioso, fino a quando tale potere troverà una cultura sociale, substrato sociale, che di fatto finisce per legittimarlo». E’ il quadro tracciato dal gip Vincenzo Quaranta nell’ordinanza dell’inchiesta “Ducale” della Dda di Reggio Calabria che questa mattina ha portato a 14 misure cautelari per soggetti indagati, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, estorsione aggravata dal metodo mafioso, reati elettorali, corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, falsità materiale e ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici. L’indagine ha documentato l’esistenza di illeciti commessi in occasione delle elezioni regionali del 2020 e del 2021 e delle elezioni comunali a Reggio del 2020. Tra gli indagati ci sono anche esponenti politici: il consigliere regionale di Fratelli d’Italia Giuseppe Neri, il consigliere del Comune di Reggio Calabria del Pd Giuseppe Francesco Sera, e il sindaco reggino Giuseppe Falcomatà.
Figura centrale di collegamento tra mondo politico e ‘ndranghetistico, secondo l’accusa della Dda, è quella di Daniel Barillà, genero del boss Domenico Araniti, “il Duca”.

La figura di Daniel Barillà, “corteggiato” perché «capace di movimentare consensi elettorali»

«Presenziava ai summit e alle riunioni operative del sodalizio; manteneva i rapporti con i rappresentanti delle istituzioni e della politica; raccoglieva voti in occasione delle consultazioni elettorali in favore dei candidati sostenuti dal sodalizio, stringendo patti elettorali politico mafiosi; agevolava l”infiltrazione della cosca nel tessuto socio economico ed istituzionale del territorio di riferimento; portava ambasciate e veicolava informazioni tra i sodali; forniva suggerimenti agli accoscati per eludere i controlli delle forze dell’ordine». Queste le accuse della Dda contro Daniel Barillà, descritto come «longa manus” del suocero Domenico Araniti. Figura politica di lungo corso «un politico navigato, un abile stratega e capace di fare determinati giochi politici», Barillà è ben inserito nel contesto politico territoriale, con «una capillare rete di rapporti e legami, come emerge già dagli atti di indagine del procedimento “Mammasantissima” ed in particolare dalle vicende che caratterizzarono i tesseramenti al circolo del Partito Democratico “Gallico-Sambatello” presente sul territorio di competenza della cosca Araniti che vide un importante incremento degli iscritti proprio con il coinvolgimento di fatto nella direzione di tale circolo dello stesso Barillà, fatto che destò particolare scalpore anche mediatico tanto che l’allora coordinatore provinciale del Pd dovette annullare i tesseramenti». Ma Barillà, secondo l’accusa è anche «un politico fortemente “corteggiato” da più parti, da più schieramenti politici, perché capace di movimentare un apprezzabile numero di consensi elettorali nella Provincia di Reggio Calabria e non solo nei territori che controlla la famiglia di ‘ndrangheta, ossia Domenico Araniti, al quale è legato da vincoli di affinità (le vicende relative alle regionali 2020 e 2021 e comunali reggine 2020 ne sono la piena riprova)».



«Tutti sanno dei legami del Barillà con la famiglia Araniti»

Una figura – si legge nell’ordinanza – che in ambito sociale è «sicuramente associata alla famiglia Araniti, che vanta una storica e importante posizione nel panorama delinquenziale reggino, in ragione dei suoi legami di affinità con il boss Domenico Araniti per averne sposato la figlia». Ogni relazione, «di natura politica/elettorale con lui lascia ragionevolmente ipotizzare, ritenere, che alle sue spalle si possa muovere la famiglia di ‘ndrangheta». «Tutti sanno dei legami del Barillà con la famiglia Araniti», si legge ancora nell’ordinanza, in viene rimarcato che è «scontato che chi instaura relazioni politiche/elettorali con il Barillà sappia di allacciare rapporti con un territorio caratterizzato dalla influenza mafiosa esercitata dalla cosca Araniti». E ancora: «Chi
allaccia rapporti con il Barillà, il quale risulta fuori dai tradizionali meccanismi di
esercizio del poter mafioso da parte degli Araniti (è fuori da qualsiasi dinamica
mafiosa), ben sa tuttavia del contributo che egli può ricevere, ed anzi riceve, sul piano elettorale, dal predetto potere mafioso esercitato dal suocero, dalla famiglia Araniti, sui territori che essa da anni controlla».

Il potere del clan «legittimato da una parte della società»

Ed è analizzando e raccontando lo strapotere degli Araniti che viene fuori quanto il territorio reggino sia soggiogato. «Questa indagine – scrive il gip Vincenzo Quaranta – fa emergere un dato che risulta davvero disarmante e cioè che una parte della società civile, presente sui territori di competenza della cosca Araniti, ha interesse ad “accreditarsi” agli occhi della struttura mafiosa ossia della stessa famiglia di ndrangheta, ossia ancora di Domenico Araniti che talora viene “adulato” per la sua posizione. Nell’ordinanza si parla poi di «cultura sociale che tende a riconoscere/legittimare, indipendentemente dalle tipiche forme di intimidazione, assoggettamento, pressione e persuasione mafiose, il potere ‘ndranghestistico, a cui sembra riconoscere il carattere di struttura territoriale. È un aspetto che non lascia sperare che il territorio possa liberarsi dal controllo mafioso, fino a quando tale potere troverà una cultura sociale, substrato sociale, che di fatto finisce per legittimarlo». (m.ripolo@corrierecal.it)

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