COSENZA Ultime udienze prima della lunga pausa estiva. Nel corso del processo ordinario scaturito dall’inchiesta della Dda di Catanzaro denominata “Reset“, celebrato dinanzi al tribunale di Cosenza – in accordo con le parti – vengono acquisiti i verbali dei collaboratori di giustizia Diego Zappia e Nicola Acri. Nella prossima udienza sarà escusso un altro pentito: Roberto Presta.
“Occhi di ghiaccio”, questo il soprannome di Nicola Acri, ha distribuito negli anni e in più verbali le narrazioni sulla presunta operatività dell’associazione criminale degli “Zingari“, operante a Cassano allo Ionio e nei comuni limitrofi, facente capo alla famiglia Abbruzzese. Nicola Acri è considerato un esperto utilizzatore di armi da sparo, dotato di spiccata freddezza: un killer spietato. Suo fratello nel corso di un processo testimoniò sulla loro infanzia, spesa nei cortili delle caserme. Nicola Acri è, infatti, figlio di un carabiniere ma decide di non seguire le orme del padre preferendo il crimine e diventando capo di una cosca di Rossano, Il collaboratore di giustizia comincia presto la propria carriera criminale tanto da comandare sul proprio gruppo ad appena 21 anni. Ai carabinieri del Ros che lo catturano dice: «Siete carabinieri? Complimenti siete stati bravi. Sono Nicola Acri». Aveva un covo nella zona di Comacchio, in provincia di Ferrara, dove si era trasferito per curare i propri interessi nella zona. Nel giorni precedenti era stato ripreso dalle telecamere di videosorveglianza di un centro commerciale della provincia di Ravenna con la moglie e il figlio. Ma poi aveva fiutato il pericolo e aveva deciso di darsi alla fuga. È stato fermato a bordo di una Ford Focus, in possesso di documenti falsi. Grazie anche alle sue rivelazioni ha consentito, recentemente, ai magistrati di ricostruire i dettagli di due casi di lupara bianca datati 2021: Andrea Sacchetti, ucciso a colpi di calibro 9 e Salvatore Di Cicco consegnato ai cirotani e sepolto con un escavatore.
Fatti di sangue, aneddoti e racconti. Le sue narrazioni vengono messe a verbale in un documento finito nell’inchiesta “Reset”. «All’indomani dell’omicidio di Aldo Benito Chiodo, nel 2000, si era venuta a creare una situazione di conflitto a Cosenza determinata dalla spinta autonomistica di Franchino Bevilacqua». Quando Acri lascia il carcere, dopo la “Strage di via Popilia”, pone le basi per una «riconciliazione dei gruppi operanti nell’hinterland bruzio, mediando le istanze del gruppo Lanzino tramite Gianfranco Bruni alias “Tupinaro” e di Giovanni Abbruzzese.
Lo stesso Nicola Acri, avrà modo di illustrare interessanti dettagli sulla mala bruzia. «Cosenza – precisa il pentito – non dipende formalmente dal Crimine di Cirò, il vero Crimine era riconosciuto in capo a Franco Pino, ma dopo il suo pentimento e quello di tanti dopo di lui, non è c’è stato un formale riconoscimento del Crimine a Cosenza». Dunque, l’organizzazione avrebbe operato con regole ‘ndranghetistiche, ma «i referenti non hanno avuto interesse o l’occasione per ottenere un formale riconoscimento».
Anche il collaboratore di giustizia Diego Zappia parla della mala cosentina. «A Cosenza non c’è un locale di ‘ndrangheta» ma «questo non significa che non ci sono ‘ndranghetisti a Cosenza, per non essendoci un locale affermato». Nel verbale finito nell’inchiesta “Reset”, il pentito racconta un particolare aneddoto. «Michele di Puppo mi disse che Nicolino Grande Araci aveva intenzione di raccogliere tutti i locali del catanzarese e del cosentino vicini a lui per fare un “Crimine”, non so dire se a Cutro o a Cirò», e «Di Puppo voleva aprire un locale di ‘ndrangheta a Rende o a Cosenza».(f.benincasa@corrierecal.it)
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