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inchiesta “fata verde”

Cannabis bagnata per farla ammuffire, il taglio e il trasporto sui furgoni. «Abbiamo piantato la Big devil xxl#1»

Gli interessi del clan Alvaro. La coltivazione, la produzione, la commercializzazione e il traffico illecito. «Ha fatto 350 grammi a pianta»

Pubblicato il: 20/07/2024 – 18:20
di Mariateresa Ripolo
Cannabis bagnata per farla ammuffire, il taglio e il trasporto sui furgoni. «Abbiamo piantato la Big devil xxl#1»

REGGIO CALABRIA Avevano fretta di iniziare il taglio della piantagione, sia perché ritenuta sufficientemente matura per l’essiccazione («c’è diciotto di THC») sia perché si temevano i risultati delle analisi dei campioni prelevati durante il controllo dei carabinieri forestali avvenuto due settimane prima. Il timore degli indagati nell’inchiesta “Fata verde” era che «i risultati delle analisi ancora non fossero stati comunicati poiché si voleva procedere all’arresto di più componenti del gruppo». E’ quanto scrive il gip riguardo agli indagati dell’inchiesta della Dda di Reggio Calabria che ha portato all’arresto di 11 persone, 14 in totale gli indagati coinvolti nella coltivazione, produzione, commercializzazione e traffico illecito di cannabis. Il giro illecito si svolgeva tra i comuni reggini di Sinopoli, Sant’Eufemia d’Aspromonte, Taurianova, San Procopio, Candidoni e che coinvolgeva anche Lamezia Terme.

Fata Verde

L’organizzazione – hanno ricostruito gli investigatori – era in grado di riorganizzarsi rapidamente anche nei casi in cui, come effettivamente avvenuto, una parte dei sodali veniva coinvolta in altre indagini di rilievo, come nel caso più rilevante di Domenico Alvaro, arrestato nell’ambito dell’operazione “Eyphemos” della Dda di Reggio Calabria, oppure nel caso in cui le aree in cui decidevano di effettuare la coltivazione illecite venivano scoperte e sequestrate forze dell’ordine come accaduto per la prima piantagione di canapa di Lamezia Terme. Parte dei proventi era destinata alla cosca di ‘ndrangheta Alvaro, rappresentata proprio da Domenico Alvaro, a lui il sodalizio doveva dare conto anche dei mancati guadagni.

Leggi anche: Il clan Alvaro e il giro illecito di cannabis, il “piano” di depistaggio dopo i controlli: «Si cambiano i campioni»

«Gli mettiamo acqua le facciamo ammuffir

«Abbiamo deciso che ci devi portare una cinquantina di piantine per bruciarle li e gli dico che ha prese la muffa e l’ho bruciata io perché sennò un domani mi “inculano” perché (inc.) tu l’hai venduta senza fattura e senza nulla, porti cinquanta piantine di quelle tue…». E ancora: «Gli mettiamo acqua, gli mettiamo acqua le facciamo ammuffire, per trovare un appoggio dopo che la portiamo via». A parlare nelle intercettazioni captate dagli investigatori è Carmine Barone, per l’accusa incaricato al «coordinamento dei lavori delle coltivazioni illecite» e alla «vigilanza anche mediante stazionamento, perlustrazione diurna e notturna delle aree interessate dalle coltivazioni». Barone, parlando con Marcello Spirlì – incaricato di «amministrare la piantagione e i sodali che gravitavano nell’area di coltivazione, eseguendo anche materialmente le colture e curando altresì la successiva fase di taglio/produzione e trasporto dello stupefacente» – proponeva di bruciare alcune piante di canapa, una cinquantina circa, simulando il fatto che la piantagione fosse stata attaccata dalla muffa «(si proponeva di bagnare le piante con acqua fino a farle ammuffire) e, in tal modo, poter giustificare assenza della piantagione nel caso in cui i carabinieri fossero
tornati».

Il taglio e il trasporto sui furgoni

Inizia poi la fase di taglio della piantagione, destinata a un capannone già
procurato dallo Spirlì per la successiva essiccazione. I componenti del gruppo – emerge dalle intercettazioni – comunicavano in queste fasi con i walkie talkie. Secondo quanto concordato precedentemente, – è la ricostruzione – le piante sarebbero state caricate su due furgoni per essere trasportate in un luogo sicuro ai fini dell’essiccamento. Ad aiutarli, per terminare i lavori più rapidamente, sarebbero intervenute persone estranee al gruppo criminale fin qui delineato, ingaggiate dallo Spirlì, che decideva di non presenziare al taglio – se non nella fase immediatamente preliminare – in modo tale da non rischiare di essere ricollegato, nell’ipotesi di un controllo di polizia, agli altri soggetti coinvolti, rischiando la contestazione di un reato associativo.

Il 21 ottobre 2021 vengono effettuate le operazioni di taglio e carico delle piante di canapa, estirpate dalle serre e riposte all’interno del vano posteriore di due furgoni.

«Abbiamo piantato la Big devil xxl#1»

Nel corso delle intercettazioni relativi agli accordi illeciti intavolati per iniziare la prima coltivazione emerge che lo Spirlì, unitamente ad altri soggetti che non vengono identificati, aveva messo in piedi una diversa piantagione che aveva prodotto circa 350 grammi di sostanza stupefacente per singola pianta utilizzando una qualità di canapa denominata “big devil xxl#1”. «Che si trattasse di una piantagione di canapa illegale – si legge nell’ordinanza – si ricavava dal fatto che la conversazione tra lo Spirlì e Barone si inseriva in un discorso più ampio tra i due, concernente l’avvio del progetto criminale associativo e la coltivazione di una vasta piantagione che sarebbe stato solo l’inizio dell’attività illecita del gruppo». Con il nome di “big devil Xxl#1” viene effettivamente indicata una varietà di canapa che poteva sviluppare un THC compreso tra il 15 e il 20%. «La più brutta che abbiamo piantato – ammette Spirlì in una intercettazione – adesso te lo dico io qual è stata la Big devil xxl#1 e ne ha fatto trecentocinquanta grammi a pianta e si fa quanto a te, quanto sei uno e cinquanta?». (m.ripolo@corrierecal.it)

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