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SETTE GIORNI DI CALABRESI PENSIERI

Lo striscione “Curva Nord” dell’Inter scompare da San Siro. Breve storia ed involuzione degli ultrà metropolitani diventati ‘ndranghetisti

Ma il PD non ha nulla da dire su un suo sindaco arrestato per mafia?

Pubblicato il: 05/10/2024 – 13:17
di Paride Leporace
Lo striscione “Curva Nord” dell’Inter scompare da San Siro. Breve storia ed involuzione degli ultrà metropolitani diventati ‘ndranghetisti

Lo striscione “Curva Nord” sparisce dallo stadio Meazza San Siro a Milano. Sparisce per decisione del questore perché le ben note vicende rubricano quell’appartenenza ad un’associazione per delinquere aggravata dall’agevolazione mafiosa come sostiene la tesi di fondo del blitz “Doppia curva”. Sparisce anche per volontà di chi è rimasto indenne dalla grande retata e deve decidere che tipo di totem dare ad uno dei più grandi gruppi ultrà italiani e che nel corso del tempo è andata ad impattare con i calabresi Bellocco. La ‘ndrangheta dove ci sono soldi arriva come un’Idra per succhiare soldi e accade anche l’impossibile perché un Bellocco può rimanere ucciso sconvolgendo piani e contesti e all’organizzazione criminale, e le resta anche il problema di punire chi ha risolto la questione in un delitto che non ha precedenti. (Ma la Procura non doveva intervenire prima considerato che le informative e le intercettazioni avevano da tempo svelato questo mondo di mezzo della rinnovata Milano da bere?). Al netto dei divieti, trapela che chi è rimasto a guidare la curva sta pensando di ribattezzare il gruppo con la dicitura “1969, Uniti, fieri, mai domi” che dovrebbe segnare la rifondazione ultrà interista e forse far rivedere sigle quali Boys, Viking, Irriducibili.

ndrangheta milano bellocco beretta

Le cose cambieranno. Niente più pacchi di biglietti da rivendere a prezzi maggiorati. Ognuno avrà il suo biglietto nominale. Le responsabilità della società Inter sono evidenti ed è auspicabile che ci siano provvedimenti anche in questa direzione verso chi ha fatto proliferare la presenza delle ‘ndrangheta in curva a Milano. Va detto che la questione della responsabilità oggettiva, quella che, se lanci pietre e fumogeni dalla curva colpisce al portafogli della società, non era stato un buon provvedimento. Ha reso le società ricattabili e aumentato la connivenza con la cosca degli ultrà. Però società di questo livello avevano il dovere di portare la contestazione in campo aperto e invece si è preferita la strada dell’immorale convivenza. Il tumore è molto esteso, forse una metastasi, e la grande massa degli ultrà si è arresa a questi caporioni non avendo nessuno il coraggio di contrastarla e quantomeno denunciarla.
Non si tratta solo di Beretta e Ferdico. Basti pensare ai fascistoni degli Hammerskin espulsi dal settore della curva, i quali si erano rivolti a quelli di Africo per risolvere i loro problemi. Il quadro evidente è questo. Gli ultrà, al pari di rapper, influencer, giocatori, ministri andavano a braccetto questa gente.
E desta riflessione che il signor Fedez (non indagato) chiamato come testimonial per l’inaugurazione di un bene sottratto alla mafia, capace di chiamare Nicola Gratteri come ospite del suo talk “Muschio selvaggio” poi scegliesse come guardie del corpo questi criminali assetati di denaro per regolare i suoi contrasti privati nei night milanesi. La vicenda giudiziaria riguarda anche la curva opposta del Milan. Da Radio curva non trapelano novità su come ribattezzare il gruppo e riformare la governance. Anche qui stretti legami con la cosca di Platì e personaggi da romanzo di Scerbanenco al tempo del nuovo secolo. La vicenda va oltre Milano, aveva già interessato Juventus e Lazio. Grandi club che permettono guadagni a molti zero alla mafia. Anche in provincia non mancano fenomeni simili. Siamo da tempo davanti ad un mutamento epocale. I gruppi ultrà dallo loro nascita fino agli Novanta si caratterizzavano per un interclassismo senza gerarchie preordinate.

ultrà inter milan dda inchiesta

Non sono mai mancati appartenenti con fedina penale non immacolata, ma non ricordo supremazie criminali come accaduto in tempi recenti. Si era tutti ultrà, e se qualcuno mostrava capacità di scontro con polizia e avversari era solo uno come gli altri. Gli ultrà del calcio nascono negli anni Settanta pieni dal fracasso della politica che anima le piazze con scontri tra fascisti e antagonisti. All’Inter la denominazione era “Boys San”, di destra, ben guardati da esponenti missini che oggi hanno fatto carriera politica. Pochi e molto cattivi, ascendenze sanbabiline, quando arrivavano a San Siro gli “Eagles” laziali, che quanto a fascisteria non difettano, il loro scherno dalla curva era “Siete solo missini” portando una contrapposizione a chi era più fascista dell’altro.
Sul fronte milanista la caratterizzazione era la vicinanza all’arcipelago della sinistra movimentista. La divisione sociologica del Boom degli anni Sessanta, quella del bauscia (il borghese medio milanista) interista e l’operaio di linea rossonera spesso immigrato era stata superata dall’ottica guerrigliera molto in voga nelle piazze milanesi degli anni 70. Per anni la curva rossonera iniziava il suo tifo con una canzone mutuata dalla celebre “Morti di Reggio Emilia” quando tutti gli ultrà cantavano “Compagni rossoneri, fratelli milanisti, prendiamoci per mano in questi giorni tristi”.
Nanni Balestrini frequentando il Centro sociale Conchetta da buon sperimentatore di letteratura ha fotografato storia ed evoluzioni di questi contesti nel romanzo “I furiosi” il miglior libro dedicato all’argomento insieme alla ricerche del professore Del Lago.
Cambiano i tempi e cambiano le mode ma anche le modalità. Ultrà era fenomeno un tempo giovanile, oggi morti e arrestati hanno spesso età da padri di famiglia, nel tempo per le distrazioni di molti e per la società dello spettacolo si sono trasformati in un fenomeno di criminalità. La potente ‘ndrangheta ne fa parte. Il dibattito pubblico langue su questa trasformazione.

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ndrina casabona arresti

A Casabona, nel Crotonese, nel disinteresse dei media nazionale più interessati all’arresto del sindaco di Capaccio e presidente della Provincia di Potenza, fedelissimo di Vincenzo De Luca, il sindaco del Pd e un suo assessore sono finiti agli arresti perché accusati di aver stretto un patto con il clan locale dei Tallarico. Voti in cambio di appalti. Cambiano le modalità, ma siamo sullo stesso mood delle curve di Inter e Milano avvenuto nella capitale morale d’Italia. Il comune era stato già sciolto nel 2018 per infiltrazione mafiosa. Si ritiene quindi che per conquistare il Comune e rifondarlo il Pd calabrese abbia molto meditato a chi affidarne la guida, ovvero ad un esponente di spicco del proprio partito. Ferma restando la presunzione d’innocenza, ma è possibile che il principale partito della sinistra, quello erede di Giannino Losardo, non abbia speso neanche una parola su questa vicenda? Il non vedo, non sento, non parlo espresso dagli ultrà milanesi uguale uguale al principale partito della sinistra calabrese. Ma un partito non è un commando ultrà. O forse sì?

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 L’ex senatore Nicola Morra, ex presidente della Commissione Antimafia, ed ex grillino ha deciso di candidarsi governatore in Liguria con il movimento “Uniti per la Costituzione” e rispondendo ad un’intervista del Foglio ha mal pensato di utilizzare come tema la malattia oncologica del candidato di centro destra Bucci richiamando anche la sua pessima uscita sulla morte della compianta Jole Santelli. Senatore sbagliare è umano ma perseverare è diabolico. Bene hanno fatto le sorelle di Jole, Paola E Roberta, di scrivere una lettera al direttore Cerasa affermando: “Auguriamo al senatore Morra di svolgere la sua campagna elettorale in trasferta nel migliore modo possibile, magari parlando di programmi elettorali e di problemi del territorio in tal modo di evitare di parlare nuovamente di Jole in modo così poco sensibile e inopportuno, e soprattutto ribadire un pensiero poco rispettoso che colpisce tutti i malati oncologici e le loro famiglie”. Chapeau alle sorelle.

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Bergamini_cosenza_processo

Una chiosa sulla sentenza Bergamini. Ho riguardato l’archivio. Ho trovato servizi Rai e cronache del Corriere dello Sport firmati da Santi Trimboli, giornalista di acume e schiena dritta, che fin dalle prime ore della morte di Denis incalzò il primo magistrato titolare dell’inchiesta sulla lacuna evidente di non aver voluto effettuare l’autopsia del giocatore del Cosenza. A Santino quel che è di Santino. (redazione@corrierecal.it)

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