MILANO La sua è una delle figure più importanti di tutta l’inchiesta “Hydra” della Distrettuale antimafia di Milano. Da un lato perché è considerato «l’elemento di raccordo tra l’attuale locale di Legnano-Lonate Pozzolo e quello storico», dall’altro perché proprio il suo monitoraggio darà vita ad un filone investigativo che ha permesso agli inquirenti di documentare «tutte le attività finalizzate alla ricostituzione del locale stesso ed all’affiliazione di nuovi sodali», nonché all’instaurarsi dei rapporti tra il locale di Legnano-Lonate Pozzolo e le altre componenti mafiose di origine siciliana e romana. È il profilo disegnato dall’accusa e che riguarda Massimo Rosi, classe ’68 di Legnano.
C’è anche il suo nome tra le persone raggiunte dall’ordinanza di custodia cautelare disposta dal Riesame di Milano, accogliendo in parte il ricorso della pm Alessandra Cerreti nell’inchiesta sul «sistema mafioso lombardo» denominata ‘Hydra‘. Il suo, come quello di altri 12 soggetti, è considerato un “arresto virtuale” che non verrà eseguito fino alla pronuncia della Corte di Cassazione sulla sussistenza di una «struttura confederativa orizzontale» in Lombardia, costituita da «appartenenti alle tre diverse organizzazioni di stampo mafioso cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra». Il sodalizio «partecipato (a vari livelli) da soggetti di diversa provenienza mafiosa e con un ambito operativo si connota indubbiamente in termini mafiosi» per il collegio del Riesame.
Il suo nome è spesso ricorrente negli atti dell’indagine “Bad Boys”, dove è spesso indicato come “compare Massimo” ed è considerato «elemento di rilievo del narcotraffico calabrese in Lombardia». Dalle intercettazioni degli inquirenti dell’epoca, erano emersi «collegamenti con altre organizzazioni criminali di tipo ‘ndranghetistico operanti in Lombardia», riportano i pm. Massimo Rosi, di fatto, non è mai stato condannato per il reato di associazione mafiosa ma, annotano i pm, ma «sono numerosi, agli atti, fatti e circostanze storiche che lo associano alla ‘ndrangheta ed al locale di Legnano e Lonate Pozzolo», ricoprendo un ruolo centrale.
A parlare di Massimo Rosi è stato Emanuele De Castro, in una testimonianza risalente al 9 luglio del 2020. De Castro, originario di Palermo ma insediato da diversi anni a Lonate Pozzolo, «in seno al locale di Legnano-Lonate Pozzolo aveva il ruolo di responsabile contabile e di detentore della “bacinella”», annota il pm, prima di diventare collaboratore di giustizia. «(…) dopo la morte di Alfonso Murano, la carica di capo società l’aveva presa all’inizio momentaneamente l’aveva presa Stefano San Filippo, poi l’avevano data a Massimo Rosi, però Massimo Rosi non andava tanto a genio a tutti i ragazzi…». E ancora spiega al pm: «Una delle più potenti eravamo comunque noi, c’era la locale di Legnano-Lonate Pozzolo, poi c’era la Cormano, c’era Buccinasco, Corsico, queste qua sono le locali più…». In un altro interrogatorio del 2019, De Castro spiegava al pm: «Massimo Rosi io l’ho conosciuto intorno al 2000, sì, che mi sembra che era appena uscito dal carcere se non ricordo male. Fu affiliato e me lo presentò Enzo come già persona affiliata, che lo conosceva, so che si è cresciuto con Enzo, si conoscono da tanti anni, da quando era ragazzino proprio Massimo…» «(…) è stato per un paio di anni lui capo società di Legnano, e poi passai io come capo società, togliemmo lui e fui messo io…». E ancora: «Lui trafficava forte in droga con i Barbaro».
Come riportato dai pm, Massimo Rosi è stato coinvolto anche nell’inchiesta “The Hole”, condotta dalla terza Sezione del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Milano, nel corso della quale «venivano certificati i rapporti di Rosi con esponenti apicali della cosca Barbaro ramo “Castanu” e segnatamente Domenico e Antonio Barbaro, entrambi pregiudicati per associazione finalizzata al traffico degli stupefacenti e con Giuseppe Barbaro, padre di Domenico», annota il pm. La ‘ndrina Barbaro “Castanu” è a tutti gli effetti una delle più rilevanti ‘ndrine di Platì ed è indissolubilmente legata alle ‘ndrine Papalia “Carciutu” e Barbaro “Pillaro”. Secondo la Dda, inoltre, è tutt’altro da sottovalutare l’affinità con i Pelle “Gambazza” di San Luca e i Molluso. (g.curcio@corrierecal.it)
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