Vi prego non mettete in opposizione rimasti e tornati, non fate pessimo uso di restanza, tornanza, partenza? C’è qualcuno di voi, che è rimasto, senza prima essere partito? E tutti i giovani che restano e si attivano per trasformare il mondo non sono prima partiti, non hanno studiato e lavorato fuori, a lungo, prima di tornare? E chi conosce qualcuno che vive al Sud che non abbia vissuto assieme le esperienze di partire, restare, tornare? “In questi ultimi anni ho ricevuto lettere, e-mail, messaggi da cui si desume che il termine «restanza» ha ricomposto assieme e dato un nomea una costellazione di sentimenti, emozioni, scelte, di giovani soprattutto,ma in generale di persone che hanno deciso di partire, di restare,di tornare. La discussione che si è sviluppata sull’idea di un nuovo modo di restare ha creato confronto, ha prodotto riflessioni sulla condizione di chi vive in aree del margine, ha fatto scaturire iniziative, talvolta visionarie, per la rigenerazione dei luoghi. Nascono e operano ormai gruppi, associazioni, festival che si richiamano a una restanza intesa come pratica per migliorare e cambiare i luoghi, filosofia per fare cultura e affermare diritti, tendenza a stabilire relazioni, scambi e aperture con altre esperienze e con il mondo esterno. Questo movimento invita a un’ulteriore assunzione di responsabilità e alla definizione di un’etica della restanza anche per contrastare eventuali banalizzazioni, folklorizzazioni, strumentalizzazioni del termine. La restanza è entrata ormai nel mondo dei saperi, nelle università, nei media, nella letteratura, nell’arte,nel teatro, nel cinema e, proprio per questa sua diffusione, è importante evitare che non diventi semplicemente uno slogan, disinnescando così la valenza oppositiva, rivoluzionaria del concetto. Valenza che invece ritroviamo, ad esempio, nel lavoro di alcuni studiosi inglesi(Wynn, Froud, Williams 2020) che, impegnati in ricerche sul caso Blaenau Ffestiniog, una cittadina del Galles, ubicata nella contea nord-occidentale di Gwynedd, hanno colto nel concetto di restanza uno spunto per una rivalutazione dei valori collettivi di attaccamento a un luogo e un’occasione per rovesciare il punto di vista delle generalmente fallimentari politiche di «sviluppo» delle zone marginali, nonché una possibilità per assegnare invece loro un valore specifico, propositivo, di conservazione attiva dei luoghi. Dopo essere stato un importante centro dell’estrazione dell’ardesia e aver conosciuto una significativa urbanizzazione in varie fasi tra il 1750 e il 1900, nel corso del XX secolo Blaenau La continuità impossibile ha subito un inarrestabile declino economico che ne ha causato il progressivo spopolamento, a seguito della crisi dell’industria estrattiva della zona, facendone uno dei luoghi con gli indici di qualità della vita più bassi del paese, tipicamente citati in confronto con le aree urbane. Da un punto di vista socio-economico, questi autori argomentano come la restanza possa costituire una base concettuale per ripensare in modo costruttivo forme virtuose di riuso adattivo del territorio. Restanza non è certo sentimento languido o compiaciuto, non indica una banale gratificazione o il piacere del dolce far niente, ma racconta l’inquietudine, la mobilità, le incertezze, le indecisioni, gli umori, le emozioni non solo di chi parte rimanendo legato al proprio luogo, ma anche di chi vi è restato e lo ha visto dissolversi lentamente”.
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