COSENZA Manuela Silvestri è una giovane mamma di un bambino di sei anni con disabilità grave: Paralisi Celebrale Infantile. Una donna forte, determinata che di fronte a un dolore enorme e del tutto inatteso, non si è arresa. Ha deciso di lottare per provare a garantire al suo piccolo Leonardo una vita dignitosa.
Le battaglie di Manuela nel corso degli ultimi anni sono state numerose, i segni le si leggono tutti sugli occhi, comunque vivi, solari, buoni. Fin dall’inizio ha capito che piangersi addosso non sarebbe stata la soluzione migliore per aiutare Leonardo. E così, con il supporto del marito Liborio, con cui vive ad Amendolara, nel Cosentino (ma sono entrambi originari di Oriolo), ha trasformato la sofferenza in un’opportunità. Insieme hanno creato una associazione ad Amendolara, nel Cosentino, di cui lei è la presidente. Si chiama “Mani Aperte a Foglia-Leonardo Aps”, un nome nato qualche anno fa un po’ casualmente, mentre Leonardo e i suoi genitori stavano sfogliando un libro di immagini ad alto contrasto, ricevuto in regalo. Un testo progettato per fornire esperienze visive coinvolgenti. Da quel momento Manuela e Liborio, entrambi laureati in Economia, hanno trovato un modo creativo per stimolare il figlio: invece di limitarsi a incoraggiarlo, gli hanno chiesto di aprire le mani a foglia. Una frase con un significato profondo, specialmente per chi vive a contatto con patologie neurologiche, spesso caratterizzate da spasticità che portano i bambini a tenere i pugni serrati. Attraverso questo invito, la famiglia ha voluto fornire a Leonardo una motivazione concreta e visibile per aprire le sue mani, e la strategia ha avuto successo.
Da questa esperienza è nata l’idea di creare un’associazione con un nome che riflette la missione di aprire quante più mani possibili. Lo scopo è quello supportare i bambini come Leonardo e le loro famiglie.
«Leonardo – racconta Manuela al Corriere della Calabria – non ha nulla di genetico, purtroppo ha sofferto per le mie emorragie. Gli è stata diagnosticata una tetraparesi spastico distonico, con un quadro molto grave a livello motorio, che ha finito per intaccare anche l’aspetto visivo. Ha un’ipovisione grave, riconosciuta come cecità totale, ma ho dovuto lottare per averla, diciamo che sono una madre un po’ fuori dalle righe, per mio figlio cerco sempre di vedere le possibilità e non i limiti».
«Nasce da una necessità. Quando ho avuto la diagnosi di Leonardo, ho pianto per tre giorni. Non sapevamo cosa fare, dove andare, ci sentivamo persi, isolati. Non potevamo neanche buttarci sotto un treno perché dalle nostre zone i treni non passano. Da lì in poi ne abbiamo provate tante e continuiamo a farlo e, grazie ai genitori conosciuti in tutta Italia e anche all’estero, abbiamo scoperto sempre di più su questa patologia e in generale sulla disabilità. Si è creata così una rete di confronto, si sono fortificati dei rapporti di amicizia. Abbiamo raccolto informazioni utili, convinti che il sostegno migliore provenga da chi ha già vissuto esperienze simili. Abbiamo compreso fin da subito che il problema è l’accesso alle terapie e alle cure. Noi, nella sfortuna, ci riteniamo fortunati perché riusciamo a garantire a Leonardo tutto quello di cui necessita. Non tutti possono permettersi le ingenti spese che queste patologie richiedono».
«Quando, d’accordo con altre famiglie, ci si organizzava per far venire terapisti specializzati in metodi innovativi per i nostri bambini, molto spesso alcune di loro si tiravano indietro per i costi troppo elevati. Spinti anche dalla neuropsichiatra del territorio, abbiamo voluto dare un aiuto a chi non poteva permettersi le cure. Quindi il nostro obiettivo è duplice: sensibilizzare l’opinione pubblica sulle sfide che le famiglie con persone disabili affrontano quotidianamente e offrire un supporto concreto a chi vive situazioni simili. Ma ho un cruccio».
«Non sempre si riesce a garantire la continuità delle terapie. Per ora l’associazione è un mezzo, un punto di riferimento per le famiglie che affrontano determinate situazioni, ma il mio obiettivo finale, e spero di riuscirci, è quello di arrivare a creare un centro sulla falsa riga della “Fondazione Robert Hollman” che si trova sul Lago Maggiore. Vorrei creare lo stesso ambiente che si respira in quella struttura, nonostante le numerose difficoltà da affrontare, per le famiglie e per i bambini. Un centro con una piscina riabilitativa, cosa che da noi purtroppo manca. Vorrei dare quel tipo di serenità ai genitori. Ma al tempo stesso il mio obiettivo è la formazione per garantire, appunto, la continuità sul territorio. Io spero che le istituzioni ci diano una mano nel portare a compimento questo progetto».
«Al momento sono una decina, che provengono soprattutto da fuori regione. Abbiamo diversi progetti su cui stiamo lavorando in termini di formazione, riabilitazione, accessibilità e molto altro. Senza trascurare la questione che attanaglia ogni genitore di un bambino con disabilità, e cioè la paura del futuro e del “dopo di noi”. Questi bambini un giorno saranno adulti e ciò mi preoccupa. È proprio questo che ci ha spinto a creare tutto questo e ad avere una continuità sul territorio per garantire un futuro a chi verrà dopo di noi». (f.veltri@corrierecal.it)
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