COSENZA La consueta relazione semestrale della Dia (ne abbiamo parlato qui) (e qui) ha consegnato, ancora una volta, un report dettagliato della presenza della ‘ndrangheta calabrese nel Nord Italia, la criminalità organizzata mantiene solide le radici con il territorio calabro ma i maggiori investimenti sono dirottati all’estero e nelle altre regioni italiane. Le proiezioni del fenomeno mafioso restano immutate, così come la percezione di chi la combatte, consapevole di aver di fronte un nemico in grado di rigenerarsi nonostante le tante operazioni coordinate dalle Distrettuali antimafia. Lo conferma al Corriere della Calabria il Capo Centro Dia di Catanzaro, Primo Dirigente, Beniamino Fazio: ospite del ciclo di seminari di Pedagogia dell’Antimafia, organizzati dal professore Giancarlo Costabile, docente dell’Unical.
«Parliamo di una ‘ndrangheta sempre più pervasiva, legata al territorio calabrese, ma non solo anche all’estero. Sono confermate quelle bisettrici che conducono al business del narcotraffico e pertanto la situazione da questo punto di vista non è cambiata negli ultimi sei mesi. Bisogna dire che comunque la forza della ‘ndrangheta resta sottostimata e sottovalutata. C’è una mancanza di conoscenza reale, sia dell’organizzazione che delle sue funzioni e soprattutto – questo aspetto non è secondario – non si percepisce a fondo la sua presenza». Nelle prossime relazioni troverà evidentemente spazio un altro settore piegato dal fenomeno mafioso, inquinato dal veleno dei clan, macchiato da uomini gravitanti nell’orbita della mala calabrese. Il riferimento è alle curve milanesi infiltrate. «Ci sono sviluppi interessanti», dice Fazio. «L’ attività della procura di Milano ha mostrato il volto di una ‘ndrangheta capace di proliferare soprattutto nel mercato calcistico».
Cellule attive in tutto il mondo, rapporti con le organizzazioni criminali più potenti, una nuova generazione di malandrini in giacca e cravatta e un esercito dotato di armi e tecnologie sofisticatissime. La lotta alla ‘ndrangheta rischia di diventare impari. «Diventa una lotta impari se la lotta alla mafia rimane esclusiva competenza delle forze dell’ordine. Lo diciamo sempre in tutte le sedi è necessario fare rete con la società civile soprattutto in questo momento, anche con le scuole», sostiene Fazio. Il capo della Dia di Catanzaro insiste: «occorre lavorare per una maggiore consapevolezza e una maggiore partecipazione perché la lotta alla mafia non può essere esclusivamente delegata alle forze dell’ordine, va combattuta insieme».
Recentemente il procuratore generale presso la Corte d’appello di Reggio Calabria Gerardo Dominijanni, ha lanciato un allarme sulla percezione, in alcune zone della regione, dove «la gente pensa che la ‘ndrangheta crei posti di lavoro e lo Stato li distrugga». La colpa è della assenza di informazione e della scarsa conoscenza del fenomeno. Una tesi sostenuta anche da Beniamino Fazio. «Ci siamo accorti che paradossalmente rispetto al fenomeno siciliano mafioso c’è un gap di conoscenza. Chiunque conosce i capi storici della mafia siciliana, Totò Riina, Matteo Messina Denaro, Bernardo Provenzano, ma se dovessimo fare la stessa domanda ai giovani calabresi, pochissimi sarebbero in grado di riconoscere i capi storici della ‘ndrangheta», sottolinea Fazio. «Stessa cosa dicasi per il maxiprocesso – prosegue – quello di Palermo è conosciutissimo, ma in pochi hanno consapevolezza di quanto accaduto nel corso del processo più importante celebrato negli ultimi anni in Calabria. Si tratta semplicemente di informare i ragazzi, veicolare più notizie possibili in maniera tale da consegnare loro tutti gli strumenti necessari a comprendere e allontanare il fenomeno criminale». (f.benincasa@corrierecal.it)
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