LAMEZIA TERME «Ho visto nascere Lamezia, ma non l’ho vista crescere». È l’amara sintesi di Basilio Perugini, avvocato e figlio di Arturo Perugini, storico volto della politico calabrese, parlamentare e primo sindaco della città lametina. Era il 4 gennaio 1968 quando, su sua proposta di legge, nasceva dalla fusione di Sambiase, Nicastro e Sant’Eufemia la terza città più grande della Calabria: Lamezia Terme. Un esito diverso rispetto al progetto “impantanato” della città unica a Cosenza, fermato dal voto negativo del referendum di domenica. Ospite a Supplemento d’indagine, il talk condotto da Danilo Monteleone in onda su L’altro Corriere tv (canale 75) ogni mercoledì sera alle 20:40, Basilio Perugini confronta i due tentativi di fusione, spiega cosa ha funzionato e cosa no nella fusione lametina, dalle ambizioni mancate fino alla caotica situazione amministrativa di oggi.
Perugini ricorda il percorso che portò alla nascita di Lamezia: «L’iter fu un po’ lungo, mio padre presentò la legge nel 1963. Poi ci furono le interviste ai cittadini di Romano De Grazia e Renato Borelli dalle quale emerse, dopo la perplessità iniziale, anche l’entusiasmo di chi veniva intervistato». Situazione opposta rispetto al referendum di domenica a Cosenza, dove si è assistito a una bassa affluenza e, soprattutto, alla vittoria del no. «Spesso il campanilismo blocca queste iniziative. Per Nicastro, Sambiase e Sant’Eufemia fu una cosa abbastanza naturale, i territori erano distanti poche centinaia di metri e in parte già uniti. Ci fu una resistenza a Sant’Eufemia, con il sindaco che si oppose, ma anche un comitato a favore della proposta di legge». Alla fine, la fusione per Lamezia arrivò, a differenza di quanto sta accadendo Cosenza. «È anche cambiata la mentalità, prima tra i paesi ci si conosceva tutti. Oggi anche gli interessi dei comuni sono differenti e c’è un egoismo nel mantenimento di vecchie situazioni. A Lamezia questo non ci fu».
Indispensabile per la fusione è la questione identitaria. «Anche a Lamezia ci furono difficoltà legate al campanilismo, poi fu superato dall’esigenza di vivere in un ambiente diverso. I sambiasini venivano già costantemente a Nicastro, alcuni si sono proprio trasferiti. Sant’Eufemia è un discorso un po’ diverso, poi è arrivato l’aeroporto. Diciamo che quel campanilismo è stato superato per necessità». Anche se oggi, ammette Perugini, «qualche cittadino di Lamezia consapevole di esserlo, mentre altri si considerano ancora nicastresi, sambiasini o di Sant’eufemia».
L’ambizione era di creare, come scrisse nella proposta Arturo Perugini, «un unico centro in piena sistemabilità urbanistica alla confluenza di rilevanti vie di comunicazione in atto di prossima realizzazione beneficiario di condizioni agricole, commerciali, industriali, turistiche di sicuro e rapido sviluppo». «Il tentativo di realizzarlo – risponde l’avvocato – c’è stato sicuramente, ma diverse situazioni determinate dalla politica partitica hanno rallentato questo processo di modernizzazione. Bisognava pensare diversamente, le amministrazioni dovevano avere uno sguardo che andasse al di là del proprio naso. Purtroppo, la situazione amministrativa della città lascia molto a desiderare». Malgoverno e i tre scioglimenti mafiosi sono stati, per Perugini, «un ostacolo gravissimo allo sviluppo della città. Serviva un’amministrazione ferma che seguisse criteri di sviluppo, invece non c’è stata una visione di Lamezia come grande città. Io sono nato qui, l’ho vista nascere, ma non l’ho vista crescere».
La vocazione commerciale, le infrastrutture, l’aeroporto e il mare. Le tante potenzialità di Lamezia inespresse anche per «un senso di inferiorità nei confronti della provincia di Catanzaro. Le cose che potrebbero far risorgere Lamezia vengono messe da parte per polemiche sterili e per compiacere chi non vuole vederla crescere. Il problema è che non sappiamo difendere i nostri interessi, le amministrazioni si adeguano a quello che viene detto dalla provincia». Il pensiero, aggiunge, va all’aeroporto “indebolito” da quello di Reggio e Crotone. «Lo sviluppo viene bloccato da queste colonne che agiscono contro la città».
L’anno prossimo a Lamezia la tornata elettorale per eleggere i nuovi amministratori per tentare di riprendere il percorso di crescita della città. «Però – obietta Perugini – il “beccuccio” di Catanzaro sta bloccando qualsiasi tipo di iniziativa per portare all’amministrazione persone capaci. Basta vedere quello che sta succedendo nel Pd. Doris Lo Moro è una persona che ama la città e con capacità indubbie. Ci saranno sicuramente altre persone per bene, ma io considero lei l’unica possibilità al momento per fare il bene di Lamezia senza condizionamenti perché ha un carattere forte e non si fa mettere i piedi in testa. E naturalmente abbiamo visto subito l’intervento di Catanzaro per bloccare qualsiasi cosa che possa non essere gradita a loro».
Sulla politica Perugini si lascia anche ad un’amara riflessione, ricordando il padre Arturo e gli “avversari” con cui si battagliava in un clima differente. «I tempi erano completamente diversi, c’era un maggior contatto tra gli amministratori e i cittadini, c’era una atmosfera entusiastica. Io ricordo tranquillamente pure la sera quando si conclusero le elezioni al Senato del 1963, una folla enorme aspettava i risultati sotto al comune. In quella circostanza Lamezia espresse come senatore anche Armando Scarpino, un uomo di cultura, che aveva le sue idee le gestiva onestamente. Erano legati da rapporti di grande amicizia con mio padre, anche in senato li vedevo parlare amichevolmente sui problemi Lamezia. Essere avversari non significava essere nemici, si collaborava tranquillamente. C’erano persone che esprimevano il loro credo politico ma su tutto prevaleva l’interesse della comunità». (redazione@corrierecal.it)
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