CROTONE Colpi frequenti e intensi, diretti per lo più contro la testa della vittima «senza soluzione di continuità, per circa un minuto, con selvaggia pervicacia e senza alcun segno di resipiscenza», prima da due e poi da cinque assalitori con «singolare sinergia e brutalità». È su queste considerazioni che si basa l’accusa di tentato omicidio pluriaggravato nei confronti di quattro persone, arrestati su ordine del gip del Tribunale di Crotone, Elisa Marchetto. Si tratta di Domenico Chimirri (cl. ’06); Domenico Chimirri (cl. ’57) figlio e padre della vittima; Antonio Chimirri (cl. ’83) e Mario Chimirri (cl. ’88), fratelli del pizzaiolo. tutti finiti in carcere. Quello ricostruito dagli inquirenti è a tutti gli effetti un pomeriggio di violenta follia che è costato la vita al pizzaiolo Francesco Chimirri lo scorso 7 ottobre nel quartiere Lampanaro di Crotone, ma il cui bilancio poteva essere ancora più grave.
Nella ricostruzione accusatoria, infatti, è escluso «il perseguimento da parte degli indagati di scopi alternativi all’uccidere», annota il gip, soltanto così gli inquirenti spiegano «l’ossessivo ripetersi dello schema gatto-topo l’agente Sortino, reiteratamente ed a gran voce qualificatasi come appartenente alla Polizia, ha tentato di darsi alla fuga, di ripararsi e di sottrarsi – anche implorando – ai colpi dei suoi aguzzini». Per tutta risposta, però, gli aggressori, forti della propria appartenenza ad un branco «lo hanno braccato e stanato, continuando ad infierire su di lui con una violenza tanto intensa quanto priva di razionale giustificazione». Una violenza che, seppure per pochi istanti, si è interrotta «soltanto con la disperata esplosione, da parte dell’agente Sortino, del colpo di pistola che ha determinato l’omicidio di Francesco Chimirri».
Per gli inquirenti, e come riportato dal gip nell’ordinanza, tutti gli indagati hanno aderito al «dolo omicidiario» del branco. A maggior ragione, l’intervento di Domenico Chimirri (cl. ’57) insieme ad Antonio e Mario Chimirri che fino ad un certo punto avevano assistito alla prima fase dell’aggressione del poliziotto, avrebbe determinato «una netta recrudescenza dell’azione offensiva iniziata da Francesco Chimirri insieme al figlio», annota ancora il gip. Ad aggravare il quadro accusatorio, inoltre, è l’azione delittuosa «rivolta ai danni di un poliziotto nell’esercizio delle sue funzioni» e «indubbiamente contraddistinta da motivi futili», anche alla luce della pacatezza con la quale lo stesso agente Sortino si era avvicinato ai due Chimirri, entrambi a bordo della Dacia Duster che, precedentemente, sulla SS106 aveva commesso una serie di infrazioni «ponendo in essere una guida pericolosa».
Capitolo a parte per il giovane Domenico Chimirri (classe 2006) e Antonio Chimirri. Il gip, condividendo la tesi accusatoria del pm, descrive lo sparo delle 14.48 come «una cesura, una scissione, non soltanto banalmente cronologica, tra gli eventi antecedenti e susseguenti». Già perché acclarata la morte di Francesco Chimirri, determinata proprio dallo sparo del poliziotto Sortino, «nell’animo dei congiunti si accendeva un fuoco ritorsivo» annota il gip che, nel caso dei due Chimirri, Mario e Domenico, «trovava sfogo e si esauriva con la realizzazione del delitto di lesioni» mentre per Domenico e Antonio «sarebbe trasceso nel tentato omicidio». Il giovane classe 2006, infatti, ha sferrato ben nove calci perlopiù diretti al volto e al corpo esanime di Sortino, per poi afferrare la pistola d’ordinanza abbandonata da quest’ultimo, puntandogliela contro. Un’azione estrema, frutto di una rapida escalation, interrotta soltanto grazie all’intervento del nonno che ha disarmato il nipote per poi con tutta la propria forza saltare a piè pari sulla testa del poliziotto «con una furia disumana, infliggendogli un colpo potenzialmente mortale». (g.curcio@corrierecal.it)
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