Chi può dire qual è il modo migliore per reagire alla sofferenza? Dov’è il limite tra il privato e il pubblico quando la sofferenza – imprevista, prevista, fa lo stesso – capita a un personaggio in vista, mettiamo un politico di primo piano, mettiamo il nostro presidente della Regione.
La Calabria è una regione in permanente manutenzione. Per una ragione cieca e meccanica lo è anche il suo governatore, in convalescenza dopo l’intervento cardiaco che ha affrontato con impreviste complicazioni per fortuna superate. Una specie di identità che sgorga da un’entità di territorio, una consanguineità tra un uomo e la sua terra. Ogni terra ha le sue virtù, i suoi vizi, i suoi saperi, le sue “arts de vivre”, i suoi errori, le sue illusioni.
La parabola umana del presidente Occhiuto è la parabola della Calabria, tenace come non mai, capace delle peggiori nefandezze (cosa sono se non nefandezze i messaggi di odio che ha ricevuto), sovvertitrice di illusioni (l’altro giorno parlavamo della bellezza del Capodanno a Reggio ed ecco che arriva la mazzata delle solite classifiche, è la provincia dove si vive peggio), identitaria per città (quel culluriello o come cavolo si dice che solo a Cosenza sanno pronunciarlo, il presidente cosentino l’ha mostrato in ospedale), quella paura di non farcela mai nonostante tutti gli sforzi di sviluppo (“ho avuto paura di morire”, ha confidato), la caparbietà di guardare avanti e guardare in faccia tutti quelli che giocano a sfaldare la costruzione (fateci caso, Occhiuto in tutti i video che pubblica raramente centra lo sguardo, come se avesse fretta di fare altro e altro ancora, ma non in quello che tutti abbiamo visto, lo sguardo netto in camera perché il messaggio fosse chiaro).
Occhiuto ci ha abituato a condividere tutto quello che fa, mai nulla del suo privato. Ogni giorno la sintesi social di incontri, riunioni, spostamenti, interviste, giunte. Per due volte è stato “costretto” a svelare la parte più privata di un individuo. La prima volta era un fatto di cronaca, l’incidente stradale nel quale ebbe la peggio la sua assistente e social media manager, ritornata forte e presente come prima. La seconda volta, adesso, per un intervento chirurgico che lo ha portato non troppo lontano dalla Cittadella. Ha scelto di rendere pubblico il momento più debole, quello della malattia che per sua fortuna, innanzitutto, è solo una pausa.
Non fu così per Jole, vulcanica governatrice, che scelse di non parlare mai della sua malattia. Ognuno esorcizza a modo suo, ognuno trova dentro di sé il modo di reagire. Potremmo fare altri esempi. Di sicuro la scelta di Occhiuto affonda quel pregiudizio di strumentalizzare una condizione fisica per ottenere un vantaggio competitivo sull’avversario. Una società sana non lo fa. Lo fa l’America di Trump: durante le elezioni del 2016 Trump derise in televisione l’altra candidata, Hilary Clinton, imitandola e facendo finta di non sapersi reggere in piedi, come in preda ad un ictus. Di peggio ha fatto con Biden. La storia di Occhiuto è un caso politico a tutti gli effetti perché è l’introduzione a quello che realmente è la politica, il governo dell’esistenza umana.
Agire liberamente significa agire in pubblico e il pubblico è l’effettivo spazio del politico. È lì che l’uomo deve mostrarsi nella sua spontaneità e affermarsi nella relazione politica con gli altri. Poi, è vero, quello che dice il sindaco di Reggio, Giuseppe Falcomatà, non tutti possono avere le cure e i medici che servono. Anzi, oggi è una possibilità per pochi, per non dire un privilegio. E allora chiederemo al presidente della Regione un agire politico conseguenziale, per i molti moltissimi che non hanno la possibilità di curarsi e non vanno fuori non per scelta politica ma perché non possono farlo. Intanto auguri di buon Natale al presidente Occhiuto, alla Calabria. Dopo i collaudi i motori ripartono. (redazione@corrierecal.it)
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