LAMEZIA TERME «Cecilia Sala, detenuta in Iran, è in buona salute. Il governo sta lavorando con la massima discrezione per cercare di riportarla in Italia». Siamo aggrappati alle parole del ministro degli Esteri Antonio Tajani. La giornalista italiana e podcaster è detenuta da una settimana in isolamento nella prigione di Evin, a Teheran. Lo ha reso noto Chora Media con un comunicato in cui si precisa che è stata arrestata il 19 dicembre dalle autorità iraniane. L’ambasciatrice d’Italia Paola Amadei ha effettuato una visita consolare per verificare le condizioni e lo stato di detenzione della 29enne.
Romana, inizia già da giovanissima a collaborare con Vice Italia e poi con Servizio Pubblico su La7 di Michele Santoro. Cecilia Sala studia e lavora, la passione per il giornalismo e la sua straordinaria e innata vocazione le consente di accumulare numerose collaborazioni: scrive per Wired, Vanity Fair e L’Espresso, mentre dal 2019 collabora come giornalista freelance con il Foglio. Il mondo del giornalismo è in continua evoluzione, e Sala riesce a comprendere l’importanza del racconto come nuova forma di informazione. Il suo podcast Stories, prodotto da Chora Media, ne è un esempio. Sala parla di esteri attraverso il racconto di una storia dal mondo. Ironia della sorte, l’ultimo file caricato è datato 16 dicembre (il giorno prima dell’arresto) ed è dedicato proprio all’Iran con il titolo “Una conversazione sul patriarcato a Teheran”, in cui parla della nuova legge sull’hijab attraverso un dialogo con la 21enne iraniana Diba.
L’analisi quotidiana dei principali accadimenti nel mondo, convince Cecilia Sala a dedicare una puntata del suo celebre podcast al voto in Slovacchia e ad «una punizione di ‘ndrangheta».
Robert Fico – è il 2023 – vince le elezioni in Slovacchia, era stato primo ministro ma nel 2018 si era dovuto dimettere, perché per l’omicidio di due giornalisti era stato sospettato un uomo che non era soltanto legato alla mala calabrese ma anche ritenuto vicino al suo partito. Vittime di quel duplice delitto sono Jan Kuciak, 27enne giornalista impegnato ad indagare sulle presunte connessioni della ‘ndrangheta in Slovacchia e la sua compagna Martina Kusnirova. Che lo aiutava nelle sue inchieste.
Il giornalista slovacco aveva impiegato più di un anno ad accumulare informazioni per completare una corposa inchiesta sule attività della criminalità organizzata calabrese in Slovacchia, «compresi i legami dell’organizzazione malavitosa con i politici», ha riferito Marek Vagovic di “Aktuality.sk” all’agenzia stampa “Bloomberg”. Secondo il quotidiano “Sme”, critico nei confronti del governo slovacco, la ricerca di Kuciak riguardava alcuni presunti collegamenti tra la mala e alcuni politici. La presenza di esponenti della ‘ndrangheta nell’est Europa era stata annunciata anche dalla Direzione investigativa antimafia. Sul punto – si legge nella relazione – «si rappresenta che il 1° giugno 2022 la Dia ha eseguito un provvedimento di confisca emesso dal Tribunale di Reggio Calabria, nei confronti di un personaggio legato alla cosca Piromalli egemone a Gioia Tauro, in relazione all’importazione dalla Slovacchia di armi inertizzate che, quindi, venivano modificate in Italia e rese idonee all’impiego».
In molti ritengono l’omicidio di Jan Kuciak legato proprio alla scoperta di questi presunti interessi illeciti nei fondi messi a disposizione dall’Unione Europea da parte dei clan malavitosi. Ma l’inchiesta non vedrà mai la luce, Kuciak e la sua compagna saranno assassinati a colpi di pistola. Un bavaglio di sangue per mettere a tacere il giornalista e a distanza di un paio di anni, quel racconto di Cecilia Sala – voce e penna libera del giornalismo italiano – è drammaticamente attuale, i cronisti sono in pericolo così come la libertà di stampa. (f.benincasa@corrierecal.it)
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