Arrigo Sacchi è stato probabilmente, insieme a Rinus Michels, l’allenatore più spettacolare della storia del calcio.
Personaggio controverso e intelligente, ha allenato per pochissimo tempo. Il tempo di vincere tutto mostrando un gioco che non si è più visto.
Il suo totem è sempre stato: “Con i mercenari non si vincono le guerre”.
Eppure, di mercenari la politica è piena, ad ogni livello. Si tratta di cooptazioni di soliti noti che cambiano posizione senza mostrare alcun pudore.
Possono essere utili per determinati fini ma non lo sono per “vincere le guerre”.
Intendendo come tali le battaglie politiche spontanee, ideali e la capacità di rimanere in ascolto con i bisogni della popolazione.
Requisiti che a volte mancano e che conducono, insieme alle rapide ascese, ad altrettanto, rapidi discese.
Inseguendo la metafora sacchiana, un leader politico dovrebbe essere un generale. E circondarsi di ufficiali e sottoufficiali che siano aderenti a un pensiero.
Purtroppo, però, spesso la presunzione porta a non guardare nemmeno le statistiche, cosa che invece chi si occupa di sport fa con attenzione.
Quando una coalizione si chiude nella presunzione dei cerchi, affidandosi a fidelizzati di facciata, commette un grosso errore. Perché si allontana dal contatto con il popolo, che è un elemento chiave per poter mantenere il consenso.
Eppure, a differenza dei beni tangibili, i voti non crescono come gli interessi bancari. Una lezione che un buon politico dovrebbe sempre conservare preziosamente.
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