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‘Ndrangheta, le donazioni ai La Rosa e l’estorsione all’imprenditore «degli arancini»

Con Antonio La Rosa detenuto, la moglie avrebbe gestito i proventi derivanti non solo dal pizzo ma anche da «elargizioni» di imprenditori locali

Pubblicato il: 10/04/2025 – 1:15
‘Ndrangheta, le donazioni ai La Rosa e l’estorsione all’imprenditore «degli arancini»

VIBO VALENTIA Estorsioni, “regali” e donazioni per mantenere la famiglia e il detenuto. Un modus operandi classico all’interno delle dinamiche ‘ndranghetiste, quasi come una “prova” di fedeltà da chi è rimasto all’esterno. Tanto che Antonio La Rosa, presunto boss dell’omonima cosca di Tropea, avrebbe invitato la moglie a tenere una sorta di lista, «segnando» chi sosteneva la famiglia. Emerge anche questo dall’inchiesta “Call me” condotta dalla Dda di Catanzaro una rete di contatti che dall’interno del carcere alcuni presunti esponenti di ‘ndrangheta avrebbero continuato a mantenere. Tra questi Antonio La Rosa, ritenuto al vertice del clan tropeano, che oltre a gestire gli affari del clan tramite il genero Davide Surace avrebbe anche continuato a dare direttive riguardo estorsioni e cercando di risolvere anche intricate questioni familiari sopraggiunte dopo il suo arresto in Rinascita Scott.

Le donazioni alla famiglia e la “lista”

Oltre a Surace, il contatto frequente di La Rosa sarebbe stata la moglie Tomasina Certo, colei che, secondo gli inquirenti «gestiva ed aveva la contabilità del denaro a disposizione del gruppo». Denaro che sarebbe arrivato anche da imprenditori locali o soggetti esterni «non altrimenti giustificabili se non per la “riverenza” verso la famiglia La Rosa». È il marito, ascoltando le lamentele della moglie su alcuni parenti che li avrebbero abbandonati, a suggerire di annotare quanto riceveva così da poterli poi restituire». Una sorta di lista che per gli inquirenti sarebbe servita più che altro a «ricordarsi poi dei soggetti che si erano continuati a dimostrare amici». Dei «canali di aiuto», come definiti nell’inchiesta, che sarebbero stati ricambiati anche dallo stesso detenuto, che in occasioni di festività avrebbe inviato «biglietti di auguri» o «cartoline» a quelli stessi che la moglie «gli indicava come coloro che le avevano fatto degli omaggi».

L’estorsione al titolare di una rosticceria

Ma il denaro a disposizione proveniva anche, secondo gli inquirenti, dalle estorsioni che pure dopo l’arresto sarebbero continuate. In particolare, viene ricostruito un presunto caso estorsivo nei confronti di una pizzeria, con il cui titolare La Rosa avrebbe avuto rapporti, come già emerso in procedimenti penali precedenti. Secondo gli inquirenti, l’imprenditore sarebbe stato «chiaramente assoggettato a dazioni ai La Rosa come quando lo aveva avvisato di avere lasciato delle “polpette” e ci sta qualcosa dentro’». Il denaro sarebbe stato così camuffato all’interno delle consegne di alimenti tipici della rosticceria. Una presunta estorsione a conduzione familiare, dal momento che anche dopo l’arresto sarebbe continuata l’elargizione di denaro. È sempre la moglie Tomasina Certo a rendere noto La Rosa che in occasione delle festività natalizie «il “coso degli arancini” non si era visto», riconducendo il motivo all’assenza del presunto boss. Per gli inquirenti il quadro che emerge è dunque che sia stata la famiglia che, durante lo stato detentivo di Antonio La Rosa, «ad assicurare l’assoggettamento estorsivo» dell’imprenditore. (ma.ru.)

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