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il ricordo

«La feluca di don Peppino»

«Era un uomo buono e, come tutti i buoni, detestava la cattiveria e cercava di tenerla lontana da sé»

Pubblicato il: 06/01/2025 – 14:03
di Nunzio Raimondi
«La feluca di don Peppino»

Alla doverosa memoria dell’alto magistrato e del politico italiano c’è poco da aggiungere. Ammirato – e tanto invidiato – per le qualità umane ed intellettuali di cui era largamente dotato, in molti, nel giorno del trapasso, si affrettano a tratteggiarne i pregi, le virtù, le carriere nella curia ed in politica.
Lascio a questi illustri commentatori di tratteggiare la vita e l’opera di Giuseppe Chiaravalloti, una persona molto rispettata negli ambienti alti delle istituzioni, delle élite aristocratiche ed intellettuali, per quanto ne possano sapere – pochi per verità – fra quelli che, anche fugacemente, quegli ambienti hanno frequentato.
Per la mia parte vorrei parlarne poco cercando di focalizzare l’attenzione su tre aspetti del suo carattere e della sua vicenda umana, forse spesso travisati o comunque poco conosciuti.
Don Peppino non era affatto un “barzellettiere”, come soltanto chi lo ha conosciuto superficialmente poteva considerarlo, era un uomo capace di sopportare le amarezze della vita (e quante ne ha dovute subire ad intra e ad extra…) con leggerezza, soprattutto grazie al suo approccio goliardico, quanto lo rese permanentemente giovane, pure nell’avanzare degli anni.
Certo, le sue imitazioni (da vero uomo di spettacolo quale lui fu…e si vedeva…), facevano sbellicare dal ridere (celebre quella del nostro amatissimo ed indimenticabile Arcivescovo Antonio Cantisani…),ma la sua goliardia era un tratto profondo della personalità perché essa passava dal serio al faceto e, non di rado, lasciava, fustigante, il segno.
Sarebbe quindi un imperdonabile errore considerare questa originalità alla stregua di una semplice eccentricità. Essa, viceversa, lievemente arrivava dritta all’anima e, come per un rapimento, il cuore la sequestrava, destinandola dipoi alla mente.
Certo don Peppino elargiva questo suo dono naturale molto generosamente, ma non tutti coloro che lo hanno ricevuto, lo hanno saputo valorizzare.
Il secondo aspetto che vorrei evidenziare è quello, per così dire, della generosità tradita.
Don Peppino, è noto, ha fatto tanto bene al prossimo ed ha subito, molto spesso, la “sindrome rancorosa del beneficato”, perché in questo il Nostro si è esposto tanto nel dare a chi non riusciva ad accettare d’esser stato favorito, come si dice, giungendo al punto da considerare il beneficio alla stregua di un carico di cui liberarsi.
A questa ingratitudine, come incapacità per l’appunto di reggere il peso della riconoscenza, don Peppino reagiva con leggerezza convinto com’era che l’ingratitudine e’ sempre una forma di debolezza.
L’empatia, per lui, era quindi il rimedio alla fragilità, nel che mi pare di ravvisare un’alta forma di Carità.
Un terzo aspetto che, forse, merita evidenziare, è la bontà.
Don Peppino era un uomo buono e, come tutti i buoni, detestava la cattiveria e cercava di tenerla lontana da sé. Qui consentitemi una piccola digressione personale (di cui ho detto varie volte, anche in pubblico).
Mia mamma, affetta da un grave tumore alle vie biliari, venne operata nell’Ospedale “Pugliese”.
Nei giorni della sua degenza nel reparto di chirurgia (diretto allora dal celebre chirurgo calabrese, prof. Emilio Rocca) sfuggendo al controllo degli infermieri, mi trattenevo qualche minuto di più al letto di mia mamma.
Ad un certo punto qualcuno, nel silenzio della sera, bussò alla vetrata del reparto: dinanzi all’infermiere, indispettito per la violazione dell’orario delle visite, si parò davanti il presidente Chiaravalloti.
L’infermiere non se la sentì’ di mandarlo indietro e, alla sua richiesta di sapere in quale stanza si trovasse la mamma dell’avvocato Raimondi, lo pregò di attendere perché avrebbe domandato alla paziente. Io mi trovavo lì e venni chiamato: giunto presso la vetrata trovai don Peppino con una busta in mano (nella quale s’intravedevano delle pantofole…).
Pensavo fosse venuto per una visita di cortesia ma lui mi anticipò: “caro avvocato -ci siamo dati per tutta la vita rispettosamente del lei- sono qui per avere il privilegio di fare una notte al letto di dolore di sua mamma”.
Ovviamente non acconsentii ma quel gesto mi rimase impresso per sempre!
Non c’era una ragione particolare perché lui facesse questo per me (a parte il fatto che mi onorava della sua personale stima ed amicizia)o per mia madre, ma la gentilezza d’animo guidò la sua azione.
Avrei tanti altri episodi dello stesso tenore da narrare, ma li lascio ai piedi del feretro perché gli angeli li presentino al trono dell’Altissimo.
Si,don Peppino era buono!
E se,come io credo,saremo alla fine giudicati sull’Amore,anche don Peppino vedrà lo splendore di Dio.
Ma,bando alla tristezza!
Penso che oggi don Peppino vorrebbe essere ricordato non solo e non tanto per la brillantezza della sua intelligenza quanto per l’audacia e l’arditezza del pensiero, mai conformistico, sempre originale e talora irriverente.
Voglio immaginarlo sorridente, ora che le sofferenze della malattia lo hanno lasciato, in compagnia della sua amata goliardia e della sua feluca: stile di vita gioiosa.

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