ROMA Condanne per un totale di 148 anni di carcere: è quanto ha chiesto la Procura di Roma nei confronti di 24 indagati – quelli che hanno scelto il rito abbreviato – nel filone romano nato dall’inchiesta “Assedio” della Dda. Il blitz, eseguito a luglio del 2024, aveva portato all’arresto di 18 persone, facendo luce sulla presenza prepotente della criminalità organizzata calabrese a Roma ma, come avviene da qualche decennio, in affari con tante altre realtà criminali che nel frattempo si sono spartite intere zone della Capitale, camorra e Cosa nostra. A dover affrontare il processo, in tutto, sono 63 persone. Sono tre i patteggiamenti già arrivati a conclusione.
La Procura ha quindi chiesto la condanna, tra gli altri, per l’imprenditore in rapporti con la ‘ndrangheta reggina, Sergio Gangemi, pontino d’adozione. E poi i figli dell’ex boss della Magliana, Enrico Nicoletti, Antonio e Massimo, il figlio del boss della camorra romana Michele Senese, Vincenzo, e “lady petrolio” Anna Bettozzi, la figlia Domitilla Strina e il nipote Massimiliano Monti, assieme a soggetti vicini alla estrema destra.
Come sottolineato dal gip, infatti, il mercato del commercio dei carburanti costituisce un settore economico appetibile per la criminalità organizzata che lo ha utilizzato nelle attività di riciclaggio e reimpiego di ingenti capitali. Nell’ultima inchiesta, in particolare, gli inquirenti hanno individuato alcune figure chiave come Alberto Coppola (finito in carcere) e Piero Monti (ai domiciliari) quali «principali organizzatori delle operazioni, portate a termine insieme ai fratelli Pezzella (finiti in carcere) e con la costante intermediazione di Roberto Macori (finito in carcere)». Gli indagati – come riportato dal gip nell’ordinanza – avrebbero «impiegato numerose società cartiere ed acquisito depositi funzionali alla realizzazione delle attività illecite».
Un sistema mafioso che negli anni ha affinato le tecniche di riciclaggio con numerose società “filtro”. Parliamo di scatole vuote attraverso le quali vengono emesse fatturazioni per operazioni inesistenti. Uno scenario emerso grazie all’attività investigativa che si è concentrata da subito sui Gangemi, storica famiglia di origine calabrese considerata «espressione imprenditoriale della cosca De Stefano, stanziata sin dagli anni ‘80 inizialmente nel territorio di Aprilia e successivamente nella Capitale», annota la Dia. È stata proprio la figura di Sergio Gangemi, finito in carcere nell’ultimo blitz eseguito proprio ad Aprilia, che ha consentito alla Polizia Giudiziaria di «comprendere le dinamiche relazionali che sottendono tutte le consorterie operanti nel Lazio ed in particolare nell’area metropolitana». Secondo le indagini, infatti, Sergio Gangemi «rappresenterebbe il punto di congiunzione tra Roma e il territorio Apriliano». Sul suo profilo, si è espresso anche il collaboratore di giustizia Riccardo D’Agostino. È stato lui a collocare Sergio Gangemi «al vertice della colonna apriliana al fianco del boss Patrizio Forniti (anche lui arrestato ndr) definito “il capo dei capi”». (g.curcio@corrierecal.it)
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