Non mi era mai capitato di sentire un forte imbarazzo, tanto da provare un profondo senso di vergogna di essere cittadino italiano, dopo aver appreso la notizia dell’arresto e del tempestivo rilascio del generale Najeem Osema Almasri, uno dei più feroci criminali libici, trafficante di esseri umani e criminale di guerra, su cui pende da tempo un mandato di cattura internazionale emesso da parte del Tribunale Internazionale dell’Aja, perché si è macchiato di atroci crimini verso l’umanità. La scarcerazione e il tempestivo rimpatrio con tanto di volo di Stato – pagato dai noi contribuenti – è stato possibile grazie ad un cavillo giuridico: “i giudici della Corte d’appello di Roma non hanno convalidato l’arresto perché non è stato preceduto da un’interlocuzione con il ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Cpi”. Questa mancata interlocuzione appare oltremodo sui generis, tanto da far sorgere il sospetto che sia stata non casuale, nonostante gli slogan pre e post-elettorali dell’attuale Premer, che promette di contrastare gli “scafisti in tutto il globo terracqueo”. Da troppi anni in Italia siamo abituati ai politicanti, a coloro che dicono e promettono cose che poi non solo non mantengono, ma fanno l’esatto contrario. Credo che da questo punto di vista al Presidente del Consiglio vada riconosciuto un primato assoluto difficilmente superabile, anche se, come sappiamo, al peggio in politica non c’è mai fine. Faccio molta fatica a non pensare che il generale libico sia stato scarcerato e rimpatriato, perché funzionale a certe politiche di contrasto dell’immigrazione clandestina. In fondo, poco importa che il soggetto si sia macchiato di atroci torture nei confronti di esseri umani anche al bieco scopo di estorcere denaro. Pur di evitare che persone provenienti da alcuni Continenti possano raggiungere le nostre coste, da parte di certe logiche politiche, si è disposti a fare di tutto: costruire lager in Libia, realizzare centri di accoglienza in Albania, e molto altro, purché non vengano a disturbare il quieto vivere di molti che ritengono fastidioso il solo vedere una pelle nera circolare liberamente sulle strade. Il problema credo risieda nel fatto che in fondo, da una certa subcultura razzista – che rimane sempre latente nella mente ristretta di molti – e che questi esseri umani solo una “razza inferiore” e comunque non degna di ricevere ospitalità, attenzione, cura, pari diritti. A questi vorrei ricordate l’articolo 3 della nostra Costituzione prevede che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Per “pari dignità”, a scanso di equivoci si riferisce al valore intrinseco dell’esistenza umana che ogni uomo e ogni donna – in quanto persona – hanno in sé, a prescindere se abbiano o meno il certificato di residenza nel nostro Paese. Mi duole e non poco constatare, che molti di questi pensieri e comportamenti contrari a ciò che statuisce la nostra Carta Fondamentale, afferiscono a persone che si professano cristiane e che pure avrebbero dovuto meditare proprio la veglia di Natale su quel passo del Vangelo di Luca che ricorda che anche alla Famiglia di Nazareth furono rivolte quelle parole prive di qualsivoglia forma di umanità: per “voi non c’è posto nel kataluma”, non c’è posto neanche nel locale posto sotto l’abitazione, quello adibito ad ospitare gli animali domestici per intenderci. A pronunciare queste parole inumane erano giudei “osservanti della legge”, che però non conoscevano il Sacro Testo che nel Libro dell’Esodo (Es 22,20) – solo per citare un passo della Bibbia – ricordava: “Non molesterai il forestiero né l’opprimerai, perché voi siete stati forestieri nel paese di Egitto”. A San Marco Argentano un gruppo di cittadini fedeli interpreti del ristretto modo di pensare e di agire ricordato sopra, stanno tentando in ogni modo di contrastare la nascita di un centro di accoglienza per immigrati e magari i più sono pure “ferventi cristiani”.
A tutti, ma soprattutto a questi ultimi, vorrei dire porgere l’invito ad aprire gli occhi e alzare lo sguardo magari posandolo sul vicino Comune di Cerzeto, che dista pochi km da San Marco, dove da diversi anni è stata realizzata una modalità di accoglienza capace di integrare, interagire e di superare qualsiasi forma di pregiudizio che rende ciechi ed incapaci di riflettere.
Il Corriere della Calabria è anche su WhatsApp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato
x
x