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EL RAIS

La rotta Turchia-Calabria e i viaggi che fruttavano «700mila euro» a sbarco: la base logistica era un «ufficio di mafia»

Gli arrivi a Crotone e Roccella su barche a vela. La richiesta fino a 12mila euro a migrante. Il gruppo con associati in Egitto e Turchia

Pubblicato il: 09/04/2025 – 18:37
di Mariateresa Ripolo
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La rotta Turchia-Calabria e i viaggi che fruttavano «700mila euro» a sbarco: la base logistica era un «ufficio di mafia»

REGGIO CALABRIA «Un ufficio di mafia» all’interno del quale c’erano uomini che «incutevano timore e i soldi erano dappertutto… a sacchetti». Sarebbe stata la base logistica dell’organizzazione criminale smantellata dall’inchiesta “El Rais”, frutto di un’indagine coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catania e condotta dal Servizio centrale operativo e dalla Squadra mobile di Siracusa, in sinergia con l’agenzia Europol, Eurojust, il Servizio per la cooperazione internazionale di polizia e l’unità Human trafficking and smuggling of migrants di Interpol. Dalle conversazioni captate emergono i particolari del modus operandi della rete criminale, volta al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ben organizzata e capace di gestire numerosi sbarchi – anche simultaneamente – con il supporto di diverse figure.
Quindici gli arresti tra le province di Cosenza, Catania e Catanzaro, oltre che in Albania, Germania, Oman e Turchia con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al traffico di migranti e di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, aggravata dalla circostanza di operare in ambito internazionale.

L’organizzazione della traversata

I migranti viaggiavano su barche a vela, venivano fatti imbarcare in Turchia, dalle città di Izmir, Bodrum e Marmaris e attraverso la rotta del Mediterraneo orientale venivano fatti sbarcare sulle coste calabresi, a Crotone e Roccella Jonica, siciliane, ad Augusta e Portopalo di Capo Passero, e sulle coste della Grecia. Numerosi gli episodi avvenuti dal 2021 sino alla fine dei 2023.
Secondo quanto emerso dalle indagini, l’imbarco avveniva previo pagamento di una somma di denaro, su imbarcazioni a vela – ciascuna guidata da due o più skipper, uno dei quali di età superiore a 45 anni, appositamente retribuiti e reclutati in massima parte tra cittadini di nazionalità egiziana provenienti dalla città di Damietta e territori limitrofi.
La rete si avvaleva di un gruppo di associati operante in Egitto, coordinati da Ali Mohamed Ali Khodir, dediti al reclutamento e alla gestione del denaro provento dei reati, e di un gruppo di associati operante in Turchia, sotto il diretto controllo del capo, Assad Ali Gomaa Khodir, dediti all’organizzazione dei viaggi e alla gestione dei migranti e degli skipper, utilizzando una rete organizzativa per il reperimento dei seguenti beni necessari all’attività preparatoria dei viaggi: immobili situati in Turchia (“safe house”) dove far stare i migranti in attesa di condizioni meteo idonee alla partenza; automezzi per il trasporto dei migranti sino alla spiaggia o al porto di partenza, generalmente situati nei pressi delle città di Izmir, Bodrum e Marmaris; imbarcazioni a vela da utilizzare per il viaggio e destinate ad essere lasciate alla deriva dopo il soccorso in mare; denaro, inviato tramite agenzie di money transfer, per retribuire gli skipper e per consentire loro l’acquisto di titoli di viaggio necessari al rientro in patria.

La richiesta fino a 12mila euro a migrante

Il “servizio” era ben organizzato, tanto – secondo gli investigatori – «da indurre a pagare cifre elevate che variavano da un minimo di 8mila euro/dollari a un massimo di 12mila euro/dollari a testa. Tenuto conto che in ciascuna traversata venivano in media trasportati circa 70 migranti – spesso molti di più – il provento lordo dell’associazione per singolo sbarco si aggirava intorno ai 700mila euro/dollari». Proventi che venivano reinvestiti nelle spese per sostenere il “servizio” offerto. «Non appena raggruppato un numero di migranti tale da permettere il sostentamento di un viaggio, e reperiti i mezzi di trasporto, i migranti venivano allocati anch’essi in safe house in territorio turco in attesa di condizioni climatiche favorevoli al viaggio. Al momento della partenza i migranti venivano trasferiti con furgoni e van dalle safe house presso le coste di partenza (per lo più le città di Izmir, Bodrum e Marmaris) e collocati sui velieri. Durante la traversata i capi promotori davano indicazioni agli skipper su come gestire il viaggio e i relativi possibili inconvenienti tramite i cellulari e le SIM date loro in uso, facendo in tal modo anche da tramite con le famiglie degli skipper per tenerle aggiornate». E una volta giunta l’imbarcazione in Italia, gli skipper si liberavano dei cellulari in mare o, come da disposizioni date, dovevano cancellare tutto quello che era presente sul cellulare. Gli skipper, ove non arrestati, facevano ritorno in Patria per lo più tramite voli internazionali con partenza da Roma o dal Nord Italia. Come emerge dalle intercettazioni, sia in caso di rientro che di arresto rimanevano in costante contatto con l’associazione. A quel punto, nell’arco dei tre giorni successivi alla traversata, i familiari degli skipper si recavano presso la base logistica dell’associazione a Istanbul, dove ricevevano il compenso spettante. (m.ripolo@corrierecal.it)

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