L’agguato a volto scoperto e il dossier perduto: 50 anni fa l’omicidio del giudice Ferlaino
Fu il primo magistrato ucciso dalla criminalità organizzata calabrese. Dopo mezzo secolo non ci sono colpevoli né una verità: la famiglia resta ancora senza giustizia

LAMEZIA TERME Sono passati 50 anni da quel 3 luglio 1975: Francesco Ferlaino, magistrato in forza alla Corte d’appello di Catanzaro viene raggiunto da ignoti, sparato a colpi di fucile e ucciso non distante dalla sua abitazione a Nicastro. Una storia senza giustizia, senza colpevoli, senza che una verità sia stata scritta in 50 anni di ricerche e appelli. La memoria mantenuta viva dalla famiglia e da quella parte di società che ancora ne ricorda i valori, l’impegno e il coraggio nell’opporsi a ‘ndrangheta e mafia. Sarà stato questo il movente – mai realmente scoperto – che ha portato i killer a premere il grilletto quella sera: un uomo onesto in una terra dove la ‘ndrangheta, in passato e in quel periodo lì, era in piena espansione. Per questo chi resisteva, chi diventava “scomodo” andava eliminato: Francesco Ferlaino il 3 luglio 1975 divenne il primo magistrato ucciso dalla ‘ndrangheta.

L’Alfa rubata e l’agguato a volto scoperto
Il giudice quel giorno stava tornando a casa dai suoi cinque figli, dopo aver passato la mattinata nel Palazzo di Giustizia catanzarese. Il commando lo aspettava a pochi metri dalla sua abitazione: appena sceso dall’auto, un’Alfa rubata a Catanzaro gli si avvicina con due persone a volto scoperto e da lì vengono sparati due colpi di lupara. Un agguato in pieno stile mafioso, fatale per il magistrato. L’auto viene ritrovato il giorno dopo a Copanello, mentre i sospetti ricadono su due persone, poi successivamente assolte: ancora oggi per l’omicidio Ferlaino nessun colpevole è stato individuato. Le indagini verteranno invece su diverse piste: il suo ruolo da giudice nel processo contro la mafia siciliana che vedeva alla sbarra imputati pesanti, ma soprattutto le sue continue inchieste sulla ‘ndrangheta. È in quel periodo che la criminalità organizzata calabrese si finanzia con i sequestri, tra i reati più attenzionati da Ferlaino, che ne aveva compreso l’importanza per le attività illecite della malavita calabrese.
Il dossier perso e un omicidio senza colpevoli
Un giudice dalla “schiena dritta”, capace di farsi rispettare anche nelle udienze: come raccontò il pentito defunto Pino Scriva, che disse di essere stato allontanato subito dalla moglie nel corso di un incontro proprio su ordine di Ferlaino, motivo per il quale lui si rivolse al magistrato dicendo che «speravano lo uccidessero». Fu proprio Scriva uno degli imputati che affrontò il processo per la morte del magistrato. Un testimone aveva disegnato il volto del killer con tratti somatici che sembravano coincidere proprio con quelli del collaboratore di giustizia. Scriva venne poi assolto nel 1980 per insufficienza di prove. Anche un altro pentito calabrese parlò di Ferlaino, definendolo «un massone» che avrebbe cercato di opporsi ai legami che proprio in quegli anni stavano nascendo tra la ‘ndrangheta e la massoneria. Una versione – quella del giudice “massone” – sempre respinta con forza dalla famiglia e che mai ha avuto sviluppi in ambito investigativo. Al centro delle ipotesi investigative anche un incontro che Ferlaino avrebbe avuto con una commissione del Csm in Calabria, denunciando le gravi infiltrazioni tra le istituzioni della ‘ndrangheta. Un dossier mai più ritrovato: lì forse si nasconde la verità. (ma.ru.)
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