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LA DINASTIA

‘Ndrangheta, da Platì alla Colombia nel nome del padre: il peso criminale di “Zuca” Trimboli

Forte di un cognome pesante, il rampollo dei Trimboli “Piseja” era riuscito a costruirsi un proprio business con un socio palermitano in Sudamerica

Pubblicato il: 11/07/2025 – 10:40
di Giorgio Curcio
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‘Ndrangheta, da Platì alla Colombia nel nome del padre: il peso criminale di “Zuca” Trimboli

REGGIO CALABRIA Un cognome «pesante», un marchio a fuoco nel Dna riconosciuto ovunque. Perché appartenere alla famiglia Trimboli di Platì, di fatto, è sinonimo di garanzia e di affidabilità negli ambienti criminali. A maggior ragione quando si tratta di narcotraffico internazionale e di contatti con i più importanti narcos del Sud America. A spiegarlo bene è uno dei protagonisti dell’ultima inchiesta “Pratì” della Distrettuale antimafia di Reggio Calabria che ha portato all’arresto di 21 soggetti.

“Zuca” Trimboli

Il riferimento è a Giuseppe Trimboli – classe 1991 – noto a tutti come “Zuca”. Per gli inquirenti reggini il suo sarebbe un ruolo di spicco e capo del sodalizio criminale legato alla famiglia di ‘ndrangheta dei Trimboli “Piseja” di Platì. Non un nome qualunque, ma il figlio del defunto Antonio Giuseppe Trimboli alias “Toto”, nonché nipote di Rocco e Saverio Trimboli, rispettivamente classe ’67 e ’74. Dopo il decesso di “Toto” Trimboli di fatto il ruolo di capo era stato ereditato da suo zio “Savo”.

Il pranzo ad Oppido

A qualificarsi peraltro è stato proprio “Zuca” e lo avrebbe fatto in Colombia mentre, intercettato, si confidava con il suo presunto complice siciliano, Giuseppe “Peppe” Palermo, socio in affari nell’import di cocaina dal paese sudamericano, classe 1978 di Palermo – anche lui finito in manette – e residente in Colombia. «Minchia compare, questa ve la devo raccontare». È il 28 gennaio 2022 quando Giuseppe Trimboli raccontava di un incontro che sarebbe avvenuto tra affiliati in un luogo di montagna, in occasione di un pranzo per festeggiare il compleanno di un ragazzo, senza indicare l’identità, risalente ad agosto e con soggetti di Oppido Mamertina. E “Zuca” parla di regole, quelle cioè da rispettare addirittura per sedersi al tavolo. I giovani, infatti, non avevano il “peso” sufficiente per sedersi con gli anziani. I giovani, ma non lui. Il figlio di “Toto” Trimboli e nipote di Saverio «aveva una carica di ‘ndrangheta che gli permetteva di sedersi con chiunque», annotano gli inquirenti reggini. Ma, come spiega lo stesso Trimboli al socio, «giustamente l’anzianità va rispettata».

Il rispetto di un «soggetto autorevole»

All’amico e socio siciliano “Zuca” racconta che, durante il pranzo, prima si era presentato ai soggetti che non lo conoscevano poi, ad un certo punto, un soggetto autorevole di Oppido Mamertina, senza indicarne l’identità, gli avrebbe confidato di avere trascorso diversi momenti conviviali con il padre defunto e di cui ammirava lo spessore criminale, mettendolo anche in soggezione vista l’età. «(…) con compare Toto quante volte abbiamo mangiato insieme là sotto da voi…». Il giovane Trimboli, parlando ancora con il socio siciliano, racconta che lo zio gli aveva confidato che il padre Antonio Giuseppe, quando tornava dalla Spagna dopo essere passato da Torino e da Milano nei periodi estivi, «faceva molti incontri conviviali con questi soggetti di Oppido Mamertina e in un’occasione, aveva addirittura allontanato un soggetto di Contrada Piminoro per aver sbagliato a parlare, grazie al «suo carisma criminale».  

Il rispetto per gli zii Rocco e Natale

Come ricostruito dagli inquirenti, grazie all’intercettazione ambientale, “Zuca” Trimboli nella stessa conversazione svelava al socio anche la “linea di successione” criminale dopo la morte del padre. Il ruolo di boss, infatti, l’aveva ereditato lo zio Saverio e non gli zii Rocco o Natale Trimboli, aggiungendo di avere un certo rispetto per lo zio Rocco, anche se non lo coinvolgeva nei loro affari illegali. Perché, come spiegava lui stesso, «è una cosa di rispetto reciproco, ci ha cresciuto». (g.curcio@corrierecal.it)

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