Peppe Palermo, il “fantasma di Bogotá” dietro i traffici della ‘ndrangheta
Il suo ruolo emerge dalla trattativa guidata da Tonino Montalto. Le rassicurazioni alla moglie: «Al telefono parliamo di vestiti»

LAMEZIA TERME In Italia, in Calabria, c’erano Giuseppe “Zuca” Trimboli e Tonino Montalto, dall’altra parte del mondo, in Colombia, Giuseppe “Peppe” Palermo. Erano loro tre i soggetti impegnati ad imbastire complesse trattative – tra la Calabria e la Colombia – per perfezionare importazioni di cocaina da immettere poi sul mercato italiano. Ne sono convinti gli inquirenti della Distrettuale antimafia di Reggio Calabria che hanno condotto l’inchiesta “Pratì”, culminata con l’arresto di 21 soggetti su ordine del gip reggino.
L’arresto a Bogotà
Nella tarda serata italiana proprio a Bogotà gli uomini della Policía Nacional e dell’Europol hanno catturato Peppe Palermo, classe 1978, nato a Palermo ma residente proprio a Bogotà. Un arresto che le autorità colombiane definiscono «eccellente» perché considerato un elemento di «alto valore». Secondo le accuse della Distrettuale antimafia di Reggio Calabria, e come riporta il gip nell’ordinanza, Peppe Palermo è considerato «organizzatore, con il ruolo di intermediario e referente in Sudamerica dell’associazione», col principale compito di condurre le trattative con i narcos colombiani per conto del sodalizio.

Tonino Montalto e la moglie
Le intercettazioni, inoltre, avrebbero consentito di appurare l’inserimento negli affari anche della moglie e dei genitori di Tonino Montalto (classe 1972) finito in carcere. La moglie di quest’ultimo, Mirella Rodà, classe 1969 finita ai domiciliari, avrebbe fornito «consigli e suggerimenti» al marito, talvolta «istigandolo nelle sue scelte criminali» riporta il gip nell’ordinanza, oltre a fornire un «importante contributo materiale nel trasferimento di somme di denaro in Sudamerica». Alla figura di Peppe Palermo, invece, gli investigatori ci sono arrivati grazie all’acquisizione del trasferimento del denaro da parte di Tonino Montalto a mezzo dell’operatore finanziario della Western Union.
«L’hanno mandata? È arrivata?»
È proprio la moglie di Tonino Montalto a chiamare in causa Peppe Palermo. E lo fa in una conversazione intercettata dagli inquirenti attraverso lo smartphone utilizzato da Montalto. È il 13 febbraio 2020 quando quest’ultimo discute con la moglie, chiamando in causa Peppe Palermo circa «il suo comportamento tenuto in relazione all’importazione di droga dalla Colombia». Il socio siciliano ma residente a Bogotà, infatti, si sarebbe lamentato perché in quel periodo non riusciva a guadagnare. Per gli inquirenti il riferimento era, evidentemente, ad un affare in corso legato ad un non meglio precisato invio di cocaina in Italia dal paese Sudamericano. Affare nel quale era coinvolto, oltre che Montalto, anche “Zuca” Trimboli. «L’hanno mandata? È arrivata?». Nel prosieguo del dialogo, infatti, la moglie di Montalto chiedeva conferme sull’invio del carico, ricevendo risposta negativa. Tonino Montalto, inoltre, spiegava alla compagna che «avrebbero dovuto definire la modalità di inoltro del denaro» a Peppe Palermo lì in Colombia, rivolgendosi a diversi soggetti coinvolti nell’affare e che avrebbero dovuto intestarsi le singole spedizioni, pagando 300 euro a testa.
«Noi parliamo di vestiti»
Dal dialogo intercettato sarebbero emersi, poi, ulteriori dettagli legati all’affare. Ad esempio, Montalto conferma di aver inviato «solo 5mila euro a Giuseppe Palermo» poiché doveva recuperare del denaro investito in precedenza mentre la compagna, parlando del siciliano a Bogotà, lo definisce superficiale nelle trattative. «(…) non si rende conto che quel ragazzo ha perso un sacco di soldi…». Ma, al di là della trattativa serrata e la ricerca di denaro, ciò che preoccupava la compagna di Montalto erano le intercettazioni e le eventuali indagini da parte delle forze dell’ordine nei loro confronti. Per questo, in una conversazione del 29 febbraio 2020, invita il compagno a non comunicare neanche con Peppe Palermo. Montalto, però, la rassicura: «Ehm ma non parliamo, noi parliamo di cose, di altre cose, di vestiti», spiegando inoltre che – secondo lui – chi stava in Sudamerica non veniva attenzionato quanto chi operava nella zona reggina. «Là sotto no, è tutto qua Mire’», senza riuscire a rassicurarla: «Con questi telefonini con le schede anonime che pensate siano anonime?». (g.curcio@corrierecal.it)
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