Confronto tra passato e presente di tifosi molto smarriti
A quarant’anni del primo raduno degli ultrà di calcio a Cosenza e a dieci anni dalla morte di Gigi Marulla

COSENZA Quarant’anni fa nel luglio del 1985 il mondo si fermava per vedere e ascoltare il Live Aid. Su due palchi in due continenti diversi due miliardi di occhi le più grandi stelle del rock chiamavano il mondo a salvare più vite umane possibili. Eppure io, compulsivo frequentatore di concerti e immerso nel sound del tempo, non mi ero quasi accorto di nulla. Cosa era accaduto?
Qualcosa di travolgente per la mia vita e di quella dei miei compagni ultrà dei Nuclei sconvolti, banda provinciale di tifo organizzato già da qualche tempo legati in simbiosi a padre Fedele Bisceglia, un cappuccino missionario cosentino molto sui generis per l’andazzo dei tempi. Eravamo rimasti più che turbati, letteralmente frantumati di quello che era accaduto il 29 maggio del 1985 allo stadio Heysel di Bruxelles alla finale di Coppa Campioni (all’epoca così si chiamava) tra Juventus e Liverpool. Avevamo visto in diretta la festa trasformarsi in strage con 39 morti innocenti e circa 600 feriti.
Il dibattito pubblico, questa volta europeo, era enorme ma ai nostri occhi giovani trito e ritrito, fatto salve eccezioni condito da vuota retorica.
Piero Romeo, autorità indiscussa del nostro gruppo, maturò l’idea impossibile. “Organizziamo un raduno degli ultrà italiani a Cosenza. Diciamo la nostra e vediamo che si può fare”. Pratico come sempre Piero. Senza il nostro monaco non saremmo andati da nessuna parte. Appena parliamo con Fedele, neanche il tempo di finire la proposta che era già partita l’organizzazione: “Facciamolo, io trovo soldi e sponsor. Voi pensate al resto”.
Avevamo circa un mese di tempo. In quel 1985, il nostro gruppo, sostenitore di una squadra da anni seppellita in campionati di serie C, non aveva nessuna reputazione araldica tra gli ultrà dominanti del tempo. Qualche apprezzamento veniva dalla corrispondenza tra gli ultrà dell’epoca e da “Supertifo” giornale di settore che aveva scoperto l’inedito segmento di mercato editoriale. Partì il primo tam tam sotterraneo verso i direttivi di gruppi di ogni serie. Molte perplessità e qualche certezza. Padre Fedele era già in movimento. Aveva assicurato un hotel cinque stelle con piscina a Fuscaldo. Una vacanza di tre giorni per dei giovani più adusi al campeggio cambiava la prospettiva. Due bus per il trasferimento a Cosenza per il convegno al cinema Italia, manifesto sponsorizzato.

A quel tempo i giornali di carta dettavano l’informazione. Io e Luca Ardenti, armati di gettoni alla vecchia Sip, iniziammo a telefonare ai principali quotidiani italiani parlando con le segretarie di redazioni che prendevano nota: “In Calabria il primo raduno degli ultrà insieme ad un frate per fermare la violenza negli stadi”. Il monaco era la ciliegina sulla torta di quella che si prospettava essere una notizia.
I migliori inviati delle grandi testate italiane arrivarono a Fuscaldo per raccontare quello che accadeva: I corrispondenti calabresi trovarono ascolto dai loro capi. Gianfranco Manfredi al Messaggero, Franco Segreto al Corriere dello sport, Pino Nano sul Mattino, Filippo Veltri ci fece finire in prima pagina sull’Unità, Vito Barresi su Reporter antesignano del Foglio. Arrivarono le delegazioni ultrà.
I Cucs della Roma, gli Eagles della Lazia, Palombella non ancora attore con Nino D’Angelo, Lino “la Jena”, Rececconi da Napoli, le brigate milaniste e i bergamaschi dell’Atalanta che si stringeranno la mano alla fine con quelli del Genoa con cui si erano presi in passato a coltellate. E poi Catania, Reggina, Salernitana, Casertana, Nocerina, Cavese e da Battipaglia un capo ultrà di serie D con tutta la famigliola dietro. I Freak brothers della Ternana erano molti e Marcello che era uno di vecchia guardia anni Settanta dirà alla fine: “Una cosa del genere non era mai accaduta”.

Fu un crescendo rossiniano quell’esperienza. Quel vivere assieme in modo spensierato non cambiò il corso della Storia ma intrecciò le vite in modo radicale. Amaramente, oggi rifletto, che un raduno del genere diventerebbe un summit paramafioso. Il convegno al cinema Italia attirò l’attenzione di tifosi adulti. Tra i consiglieri comunali venne a capire qualcosa solo il missino Giulio Adimari che aveva il figliolo Benito nelle nostre schiere.
Ci siamo sentiti il centro del mondo. Incancellabile il ricordo della cena al rientro in hotel dopo il convegno riuscito con padre Fedele che canta “Maracanà Maracanà” e cento ultrà di venti squadre diverse sventolare i tovaglioli in aria come fosse una finale dei mondiali. Eravamo riusciti a far capire meglio stare bene tutti insieme che infilarsi in guerre inutili. La mattina leggevamo i quotidiani di tutt’Italia con le nostre foto in pagina. Padre Fedele l’ultimo giorno organizzò un pranzo al sacco su un prato in Sila. Quelli che c’eravamo si può dire non ci siamo persi. Da allora i Nuclei Sconvolti acquistarono una reputazione altissima nel mondo ultrà italiano. Dopo qualche anno, si rafforzò molto anche il blasone dei Lupi del Cosenza che salì dopo oltre un quarto di secolo in Serie B, sfiorando subito la serie A. Nel campionato del raduno di Fuscaldo, in serie C, Gigi Marulla segnò 18 reti. Poi andò al Genoa e ad Avellino per poi tornare a recitare il ruolo di Achille greco per diventare la bandiera di una provincia amato e idolatrato per estro e carattere.

Calabrese di Stilo come Tommaso Campanella che fu di casa a Cosenza, una moglie cosentina, Gigi Marulla ha interpretato il ruolo dell’eroe bruzio per scelta e per vocazione. Nell’eroe si nasconde spesso la tragedia. Il 19 luglio di dieci anni fa per una maledetta bevanda ghiacciata a 52 anni Gigi è volato via lasciando lutto, memoria e ricordo. Fu santo subito come doveva essere con il San Vito che immediatamente diventa il “Gigi Marulla” insieme a mille iniziative nel suo nome. Anche quest’anno un torneo di calcio tra vecchie glorie e ultrà lo ricorderà nel suo stadio con incasso da devolvere ad un’iniziativa benefica in Africa. Viene la tristezza a pensare che a dieci anni della morte di Gigi, il figliolo Kevin abbia lasciato il suo ruolo dirigenziale. Ha ben scritto il nostro Francesco Veltri: “Con la sua partenza, il Cosenza perde l’ultimo simbolo riconosciuto e condiviso del popolo rossoblù. Rimane un vuoto devastante e simbolico”.
Oggi è stata rinviata la conferenza stampa del nuovo direttore sportivo, che ha il dato caratterizzante di chiamarsi Fabio Lupo. Un lupo nella tormenta di un club che ha da poco annunciato il nuovo (e già contestato) allenatore Antonino Buscè, un’idea di squadra, uno straccio di progetto. Il presidente Guarascio sembra essere più solo di Napoleone a Sant’Elena con poche schiere che credono ancora il lui. Purtroppo, Guarascio non è un personaggio eroico. L’eroe è Gigi Marulla. A lui si presta la categoria letteraria di uomo completo, uomo comune, eppure un uomo come se ne incontrano pochi. Forse anche per questo, a fronte di questo triste presente da tifoso del Cosenza, vi ho portato a ricordare il passato. A quarant’anni fa quando degli ultrà di provincia e un monaco diventarono un riferimento nazionale e al 2015 quando perdemmo in terra l‘indomito eroe Gigi Marulla. Però non possiamo vivere solo di passato. Aspettando i nuovi eroi che dalla notte più cupa conducano i lupi cosentini al chiarore del giorno. (redazione@corrierecal.it)
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