Armi e auto per lo spaccio «capillare» tra Reggio e Catania. Fentanyl «al posto della cocaina»
Un gruppo calabrese e uno siciliano, ma «un’unica associazione a delinquere». Al vertice Antonio Caracciolo, gestiva tutto da casa

REGGIO CALABRIA Il business degli stupefacenti gestito in modo «ben organizzato e professionale, ripartendo le competenze di ciascuno ed individuando appositi nascondigli e locali idonei alla custodia della droga». Due gruppi in affari, uno costituito dal nucleo calabrese guidato da Antonio Caracciolo, l’altro siciliano e in particolare catanese che faceva riferimento al primo per garantirsi la fornitura. Due gruppi, ma «un’unica e unitaria associazione a delinquere», «attesa la riscontrata solidità dei rapporti tra i due gruppi, la condivisione di risorse materiali» e «l’affidamento reciprocamente riposto da ciascuno dei due gruppi». Affari su cui ha fatto luce l’inchiesta della Procura di Reggio Calabria con l’inchiesta “Oikos”. La regia, per il traffico di sostanze stupefacenti, veniva da San Roberto, in provincia di Reggio Calabria, ma le proiezioni arrivavano ben oltre, andando a toccare tutta la provincia reggina e la Sicilia. Sono stati 33 i soggetti collocati in regime di custodia cautelare in carcere e 2 ai domiciliari.
L’organizzazione
Le indagini hanno permesso di documentare una frenetica, capillare e quotidiana attività di spaccio di sostanze stupefacenti realizzata attraverso una fitta rete di clienti abituali e fornitori. Detenzione a fini di spaccio, messa in vendita, cessione, distribuzione, commercio e trasporto di sostanza stupefacente. Al vertice dell’organizzazione c’era Antonio Caracciolo. Per l’accusa con il ruolo di «promotore, dirigente, organizzatore e finanziatore dell’associazione». Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, Caracciolo «provvedeva all’individuazione dei canali di approvvigionamento delle sostanze stupefacenti, curando i rapporti con i fornitori e le relative transazioni, determinando quantità e qualità delle singole tipologie di sostanza stupefacente di cui approvvigionarsi e procedendo direttamente alla ricezione e gestione dello stupefacente acquistato». Sarebbe stato lui a decidere modalità e prezzi; a curare «i rapporti tra i sodali siciliani e quelli calabresi, organizzando i trasporti dì stupefacente e le relative transazioni dalla Calabria alla Sicilia, nonché le trasferte dei siciliani in Calabria per le varie riunioni organizzative e per le contrattazioni relative alla sostanza stupefacente». Le operazioni in vista della vendita avvenivano all’interno della sua abitazione a San Roberto, dove venivano definite le «strategie criminali del gruppo» e dove «riceveva fornitori ed acquirenti». A disposizione del sodalizio c’erano armi e auto.
Il fentanyl venduto al posto della cocaina
Cocaina, crack, hashish, marijuana e non solo. Nelle conversazioni – come sottolineato dal procuratore facente funzioni della Repubblica di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo in conferenza stampa – si fa anche riferimento al fentanyl, «un analgesico con una potenza di almeno 80 volte superiore a quella della morfina».
E dalle conversazioni captate dagli investigatori emerge come la droga sintetica, la cui diffusione rappresenta un fenomeno sempre più allarmante – sia stata venduta al posto della cocaina. Caracciolo, secondo quanto emerge, avrebbe ceduto del fentanyl facendo credere che fosse cocaina. Ma le persone a cui era stata ceduta lo avevano capito. «…glielo avevo detto che non era per me.. era per un’altra persona.. ma se quattro persone su.. quattro incompr.. mi dicono che quella è fentanyl».
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