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l’azione armata sfiorata

‘Ndrangheta, la lite tra famiglie criminali “sedata” con le armi. «Prendo il “due botte”»

Fucili e pistole di cui si parla nei dialoghi captati, funzionali «ad accrescere la forza intimidatrice» degli appartenenti ai clan

Pubblicato il: 17/07/2025 – 11:09
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‘Ndrangheta, la lite tra famiglie criminali “sedata” con le armi. «Prendo il “due botte”»

REGGIO CALABRIA «Prendo il “due botte” (fucile) e gli butta due botte, gli butta». Secondo gli investigatori erano «detentori di armamenti funzionali ad accrescere la forza intimidatrice delle rispettive compagini familiari». Fucili e pistole di cui si parla nei dialoghi captati e finiti nelle pagine dell’inchiesta “Pratì” della Dda di Reggio Calabria. Ventuno i destinatari di misure cautelari. L’inchiesta – che trae spunto dall’operazione della Dda reggina “Malea” contro le cosche di Mammola – ha permesso di fare luce su collegamenti stabili e privilegiati tra la Locride e il Sud America, attraverso uomini della ‘ndrangheta e soggetti di rilievo del clan del Golfo. Sono tre i gruppi che operavano, «perfettamente integrati tra loro e ognuno dei quali con compiti ben precisi», hanno spiegato gli investigatori. I primi due gruppi erano dediti all’importazione dalla Colombia e dall’Ecuador di ingenti carichi di cocaina nascosta all’interno dei container stipati sulle navi commerciali e, un terzo, specializzato nella coltivazione di piante di canapa indiana e nella commercializzazione all’ingrosso e al dettaglio della marijuana ricavata. 

La lite e la minaccia

Nelle pagine dell’ordinanza con cui il gip ha disposto l’arresto di ventuno persone (14 in carcere e 7 ai domiciliari) emergono i dialoghi in cui si parla di armi. Per un episodio nello specifico, il gip sottolinea l’importanza della «chiarezza dei dialoghi», corroborate dagli accertamenti che hanno documentato una lite avvenuta tra due gruppi criminali e che sarebbe potuta sfociare in un’azione armata. In particolare, contro Tonino Montalto è emersa «la detenzione da parte dell’uomo di una pistola e di un fucile che egli aveva occultato, pronti ad essere usati per i suoi propositi bellicosi».
«Vado a prendere la pistola però”…gli ho detto io» diceva Montalto nel rappresentare – scrive il gip – la propria spavalderia criminale, dando atto della detenzione dell’arma, a cui si aggiungeva anche un fucile come emerso da un’altra conversazione.
Al centro della questione una lite con una famiglia appartenente alla comunità rom. L’indagato, secondo quanto ricostruito – aveva riferito che non avrebbe esitato a risolvere la questione con “la pistola”, così dimostrando la disponibilità di armi illegalmente detenute. Ma Montalto – come racconta lui stessa in una conversazione – non aveva in mente di agire da solo, ma aveva riferito di attendere il rientro del cugino Federico Starnone dalla Colombia – dove era impegnato per l’importazione dello stupefacente – «lo aspetto che torni mio cugino, Federico», al fine di organizzare una ritorsione armata nei confronti della famiglia rom con cui avevano avuto la discussione: «Da qua ad un mese se ne torna… come torna, io non lo posso fare e lo fa lui», ovvero prendere un fucile e sparare. «Prendo il “due botte” (fucile) egli batta due botte, gli butta», affermava Montalto dicendo di voler utilizzare il cugino quale esecutore materiale per non incorrere in problemi giudiziari, in quanto sarebbe stato uno dei primi soggetti sospettati in considerazione della lite che aveva avuto con quella famiglia nei giorni precedenti, per cui erano intervenute le Forze dell’ordine: «pure che dopo vengono e mi fanno qualche cosa a me la legge, mi fanno lo stub, non trovano niente». (m.r.)

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