Starnone, ultimo atto: ascesa e declino dell’emissario della ‘ndrangheta in Colombia – FOTO E VIDEO
Catturato a Cali il locrese ricercato da poco più di un mese. Il broker è considerato il “ponte” tra i clan della Locride e i cartelli sudamericani

LAMEZIA TERME Un sorriso rivolto alla camera, quello amaro di chi sa che è finita. Qualche parola a bassa voce, incomprensibile, mentre gli uomini della Policía Nacional de Colombia lo accompagnano all’interno del furgone. Cala così il sipario sulla storia criminale – lunga poco più di 25 anni – di Federico Starnone, nato a Locri nel 1979, noto come “Fedi” e tra gli arrestati nel blitz della Distrettuale antimafia di Reggio Calabria “Pratì”. Per Starnone era scattato l’ordine di arresto ma era da subito risultato latitante.

La cattura a Cali
A stanarlo sono stati i poliziotti colombiani, in coordinamento con le autorità italiane. Lo hanno catturato a Cali, città considerata il principale centro economico, industriale e finanziario del sud-ovest della Colombia. Il lavoro investigativo delle autorità colombiane è stato pressante, come già abbiamo visto in passato, nel corso di altri arresti eccellenti. Individuato lo stabile, i poliziotti lo hanno pedinato, seguito per strada e – come si vede nelle immagini – lo hanno anche immortalato mentre, con una tazza in mano, si affacciava dal proprio balcone. I poliziotti colombiani sono così andati a colpo sicuro e lo hanno catturato. “Fedi”, secondo le autorità colombiane, era stato designato dai clan di ‘ndrangheta quale successore di Giuseppe “Peppe” Palermo, il palermitano anche lui broker per i calabresi in Colombia catturato solo qualche settimana fa a Bogotà. (QUI LA NOTIZIA)


L’emissario in Colombia per la ‘ndrangheta
Per la Dda di Reggio Calabria, quello di Starnone è un profilo criminale di assoluto rilievo. Non è un caso se l’operazione “Pratì” ha preso le mosse proprio da un’operazione di importazione di cocaina dal Sud America che, rimasta solo un tentativo, sarebbe stata portata avanti da Damiano Abbate (tra gli arrestati) per conto di committenti e finanziatori originari di Mammola, non identificati, con la fattiva collaborazione di Federico Starnone quale «incaricato di recarsi in Colombia per concordare l’approvvigionamento e la spedizione del carico di cocaina con i narcos», nonché di Tonino Montalto, col compito di mantenere i rapporti tra Starnone Federico e i committenti e finanziatori mammolesi.
I pm della Dda reggina hanno individuato tre gruppi criminali. E, del primo, farebbero parte soggetti operanti a Platì, i cui capi sarebbero Francesco (cl. ’77), Domenico (cl. ’81), Giuseppe (cl. ’77) Trimboli e Franco Barbaro, «impegnato nell’importazione di carichi di cocaina dal Sud America all’Italia attraverso il lavoro di intermediazione di Federico Starnone con i narcos colombiani ed ecuadoriani, e la collaborazione di Tonino Montalto – cugino di Starnone – e Mirella Rodà, compagna di Montalto. Insomma, per gli inquirenti reggini Federico Starnone è considerato «emissario del gruppo criminale di cui faceva convintamente parte». A proposito dei piani per l’importazione di un enorme carico di cocaina, tra i 100 e 150 chili, secondo gli inquirenti per le trattative Starnone si sarebbe recato in Spagna e, successivamente, come riscontrato dalle Autorità colombiane il 3 ottobre 2018, trasferito in Colombia presso la città di Bogotà.

Gli investimenti nella gastronomia
Alle autorità colombiane “Fedi” Starnone è noto per aver investito in questi anni i proventi criminali dell’organizzazione nell’economia legale, in particolare nel settore gastronomico. Per questo Federico Starnone conduceva uno stile di vita discreto, imprenditoriale e metodico, evitando qualsiasi protagonismo pubblico. Disponeva di una rete di narcotrafficanti europei invisibili, inviati per operare direttamente in territorio colombiano al fine di consolidare alleanze criminali e negoziare carichi di cocaina. Tra i principali metodi utilizzati per trasportare i carichi di cocaina in Europa figura l’uso di container refrigerati contenenti frutta o caffè. I porti italiani di Genova e Gioia Tauro erano i principali centri di raccolta dei carichi.
Il video della cattura:
La lettera della sorella
Al Fatto Quotidiano la sorella di Federico Starnone, l’avvocato e docente all’Iti di Livorno Patrizia Starnone, aveva inviato una lettera proprio in occasione dell’operazione Pratì, usando a tratti anche toni molto duri nei confronti del fratello. «Chiaramente, alla luce della mia formazione giuridica e avendo esercitato la professione come avvocato penalista nel Reggino e nella Locride per diversi anni – scrive – pur riconoscendo il fondamentale principio della presunzione di innocenza riportata all’ articolo 27, comma 2 della Costituzione e nei trattati internazionali come la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”, prendo le distanze e ferma posizione, insieme alla mia famiglia, contro qualsiasi forma di attività illecita ascrivibile alla condotta di Starnone Federico nei capi di accusa, i quali devono essere chiaramente provati nel processo penale». E ancora: «Dopo 25 anni, ieri mattina la mia famiglia ha dovuto subire nuovamente l’acuto e insostenibile dolore di vedere il nome di Federico Starnone pubblicato in prima pagina sui quotidiani, perché accusato di essere coinvolto in traffici illeciti di traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Non esistono parole adeguate che possano esprimere il senso di impotenza, rabbia, delusione nella lettura di certe notizie. La tragica realtà ti piomba addosso come un macigno, che ora dopo ora, giorno dopo giorno diventa sempre più pesante». (g.curcio@corrierecal.it)
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