Le vacanze in Sila? Per molti, ma non per tutti
Crescono gli arrivi e i servizi, ma gli operatori non inseguono l’overtourism

COSENZA Mentre i rincari gelano l’estate ovunque, il dibattito continua sui lidi mezzi vuoti, sui numeri che dicono di meno italiani in vacanza, su vari report più o meno contrastanti sulle cifre e sulle destinazioni preferite dai viaggiatori nel nostro Paese. E poi si discute dell’overtourism nelle città d’arte, ormai ben noto, ma anche di quello che sembra avere assalito, in particolare, le località di montagna alpine. Fatto che trova un’ulteriore conferma nell’articolo, dedicato al caso del Seceda, in Val Gardena, a firma di Riccardo Bruno sul Corriere della Sera, che là ha incontrato il presidente nazionale del Club Alpino Italiano, Antonio Montani. Abbastanza scoraggiato, il presidente CAI ha descritto l’afflusso massiccio di visitatori come il risultato di un marketing eccessivamente spinto e di una troppo facile accessibilità, elementi che rischiano di snaturare il rapporto tra uomo e ambiente. Provocatoriamente, poi, Montani ha indicato Basilicata e Calabria come mete ancora lontane da questi fenomeni, terre dove la montagna conserva la sua assoluta autenticità. Ci siamo allora chiesti a che punto stia la montagna calabrese, dal Pollino fino all’Aspromonte. Da qualche anno, oltre a valorizzare e promuovere il mare, l’attenzione si è spostata anche sui parchi montani. Il generale, si registra effettivamente una fase di crescita. Servizi in aumento, offerte diversificate e un interesse turistico che non si limita più ai mesi invernali. Una trasformazione che porta con sé opportunità, ma anche la necessità di prevenire le criticità che oggi si registrano altrove. Ne abbiamo parlato con Antonella Tarsitano, imprenditrice e presidente di Confcommercio Sila, per capire quale direzione stia prendendo il turismo montano calabrese, fino a dove ci si può spingere nella promozione e in quali condizioni sarà necessario fermarsi.



Il presidente del CAI Antonio Montani ha citato la Calabria come esempio di montagna ancora autentica. In Sila questa definizione è davvero valida? «Quella che può sembrare una provocazione ha in realtà un fondo di verità. Da tre-quattro anni la Sila accoglie sempre più gruppi del CAI provenienti dal Centro e dal Nord Italia. Dopo aver esplorato Alpi e Appennini centrali, scelgono la nostra Sila, ancora poco conosciuta e per questo percepita come più autentica, lontana dai fenomeni di overtourism. Se Montani ne parla in questi termini vuol dire che conosce bene la nostra montagna. Paradossalmente, il mancato sviluppo degli anni ’70 e ’80 – edilizio ed economico – in un periodo in cui altrove si sfruttava il territorio in modo selvaggio, ha permesso alla nostra montagna di arrivare a oggi intatta, con una sensibilità ambientale maggiore e norme più rigide dettate dall’appartenenza al Parco Nazionale».
L’economia turistica si sviluppa con azioni di marketing e promozione. In Sila la visibilità è aumentata, così come l’offerta. Quanto questa crescita è frutto di strategie mirate e quanto di un passaparola positivo? «La visibilità della Sila – e della montagna calabrese in generale – è cresciuta grazie a campagne di marketing mirate. Fino a dieci anni fa, la comunicazione istituzionale puntava quasi solo sulle località di mare, dando l’idea di una Calabria esclusivamente estiva e balneare. Ma la nostra regione, con i nostri Parchi, è molto di più. Il marketing è quanto mai necessario. Nel turismo, senza un’adeguata comunicazione, una località, per quanto bella e ben organizzata, semplicemente non esiste. Le azioni promozionali degli ultimi anni stanno dando i loro frutti, soprattutto dopo il Covid, quando è cresciuta la ricerca di luoghi immersi nella natura e lontani dalle mete più battute. Questo ha aperto nuovi mercati, portando in Sila visitatori di diversa provenienza, non solo da quelli che erano i bacini tradizionali».
Fino a che punto si può spingere questa promozione senza rischiare di alterare l’identità della Sila? «Per evitare fenomeni di sovraffollamento come quelli che stanno colpendo alcune località del Nord Italia, la Sila deve puntare su una comunicazione mirata a target ben definiti: chi ama davvero la montagna e ne condivide i valori di sostenibilità e rispetto. La nostra è una montagna tutelata da vincoli ambientali, ricca di attività ed esperienze autentiche, ma lontana da uno sfruttamento selvaggio del territorio. Un messaggio chiaro e coerente attirerà visitatori in linea con quello che “noi” vogliamo essere, e che vogliamo anche diventare in futuro».
Se sulle montagne calabresi si presentassero numeri simili a quelli del Seceda descritti dal Corriere della Sera, quale dovrebbe essere il punto di stop per evitare sovraffollamento e perdita di qualità dell’esperienza? «Oggi siamo lontani dal rischio di overtourism anche per una ragione pratica: l’offerta di posti letto è ancora limitata. La crescita è auspicabile, ma deve avvenire in modo sostenibile, puntando sulla ristrutturazione di immobili esistenti o su nuove strutture di qualità, rispettose dell’ambiente. Solo così si eviterà di attrarre un turismo eterogeneo e poco in linea con l’identità del territorio. Il messaggio da trasmettere è che chi viene in montagna deve rispettare luoghi e regole, anche quelle non scritte. La direzione, almeno per quel che riguarda la Sila, è in particolare quella di un turismo sportivo e sostenibile. Qui la vacanza è lenta, rigenerante, ricca di attività all’aria aperta: una vera palestra naturale per ritrovare equilibrio fisico e mentale. Per questo consideriamo il turismo sportivo come strategico anche per lavorare tutto l’anno. In Sila c’è l’unico centro di canottaggio della Calabria, sul lago Arvo, dove l’uso di motori è vietato salvo per ragioni di sicurezza. Peraltro puntiamo anche a traffico auto zero. E poi c’è il campo sportivodi Mellaro-Cincillà già operativo per ritiri calcistici, un altro in attesa di riapertura e un campo di padel tra Camigliatello e Lorica, destinato non solo all’utenza locale, ma anche per clinic e weekend a tema nella media e bassa stagione».
Come si può individuare per tempo il momento in cui intervenire, evitando di agire quando i danni sono già evidenti? «Significa monitorare costantemente i flussi, la capacità ricettiva e l’impatto delle presenze sul territorio. Bisogna leggere i segnali prima che diventino criticità: code eccessive sui sentieri, degrado ambientale, calo della qualità dell’esperienza percepita dai visitatori e malcontento delle comunità locali. Per farlo servono dati aggiornati sugli arrivi e sulle presenze, rilevazioni sull’uso dei servizi, feedback raccolti in modo sistematico. Ma serve anche una governance attenta, dove istituzioni, operatori e associazioni condividano le informazioni e decidano insieme le azioni da intraprendere. Il vero punto di stop non è un numero fisso di turisti, ma il momento in cui il territorio comincia a cambiare identità per adattarsi alla domanda, anziché essere la domanda ad adattarsi al territorio. In quel momento bisogna rallentare, calibrare la promozione e puntare su esperienze di qualità per target selezionati».
Il Rapporto Montagne Italia 2025 dell’Uncem colloca alcune aree calabresi, inclusa la Sila, ai primi posti per durata media dei soggiorni. Che cosa rende questa montagna capace di trattenere i visitatori più a lungo rispetto alla media nazionale? «Probabilmente è legato a un fattore economico perché, da questo punto di vista, la nostra resta ancora, nonostante servizi di buona qualità, una montagna più accessibile. E poi ci auguriamo che oltre al fattore economico, il motivo sia anche perché la nostra montagna è “dolce”, e permette attività alla portata di tutti. Ciaspolate in inverno, trekking, passeggiate naturalistiche o in e-bike. Qui si possono vivere esperienze anche senza una preparazione atletica elevata. E poi, la Sila, non è in competizione con altre montagne italiane, perché ogni luogo ha proprie peculiarità».
Il coinvolgimento delle comunità locali è uno dei fattori che viene indicato come determinante per la qualità dell’esperienza turistica. Come avviene oggi in Sila? «Negli ultimi anni si è sempre più lavorato per valorizzare le proprie tradizioni e le esperienze tipiche dei nostri luoghi e dei nostri paesi.Per troppo tempo si è pensato che alcune tradizioni fossero sinonimo di arretratezza. Invece, col passare degli anni, la riscoperta delle nostre radici, e anche un maggiore orgoglio, ha fatto sì che si riscoprisse l’autenticità dei nostri luoghi. È quello che i viaggiatori hanno voglia di scoprire. Questi processi però funzionano solo se portati avanti come comunità. L’interazione tra privati e istituzioni è fondamentale ed è resa più semplice dalla presenza di associazioni come Confcommercio Sila, che svolge un ruolo di collegamento tra operatori turistici, imprenditori, mondo del commercio e amministrazioni. A questo si aggiungono le Pro Loco e molte altre realtà associative che arricchiscono il tessuto sociale e contribuiscono a costruire l’offerta».
Tutte le attività sono cresciute, in particolare quelle estive. Come mantenere questa spinta senza ripetere gli errori visti altrove? «Ormai la montagna non è solo legata al concetto di vacanza invernale, e la nostra in particolare è da vivere ‘four seasons’, perché in ogni singola stagione offre un prodotto diverso, sia come spettacolo naturalistico, sia come tipo di esperienza da fare.E le attività estive sono sempre più numerose, anche grazie a tanti giovani operatori che seguono e imparano partecipando alle fiere di settore, che frequentano altre montagne per poi portare qui tutte le novità che osservano non soltanto in Italia, ma anche in giro per il mondo. E noi di questo siamo sempre più orgogliosi».
La carenza di strutture ricettive di qualità è un nodo critico, oppure no? Quanto può incidere sulla possibilità di attrarre un turismo equilibrato e di alto livello? «Da un lato, come spiegato, la mancanza di strutture ricettive ci protegge dall’overtourism; dall’altro, limita la possibilità di intercettare alcuni mercati, in particolare quelli esteri.Si parla molto di destagionalizzazione, ma per realizzarla davvero occorre rivolgersi a target differenti da quelli tradizionali, e questo spesso richiede strutture di qualità che sul nostro territorio ancora mancano. L’auspicio è che i posti letto possano crescere, ma con criteri chiari: nel rispetto dell’ambiente e con standard adeguati ai mercati stranieri, che sono fondamentali per allungare la stagione turistica».
Guardando ai prossimi anni, quale modello di sviluppo turistico può conciliare crescita economica, tutela ambientale e identità della Sila? «Qui si è sviluppato un grande movimento che ha favorito la collaborazione tra operatori: non solo tra strutture ricettive, ma anche con i servizi collegati. La vera forza, lo ripetiamo spesso, è lavorare insieme e dare al visitatore un’immagine chiara e coerente del territorio.Il modello da seguire è proprio questo, evitare le dissonanze e puntare a una visione comune, in cui ogni località della Sila possa avere la sua specificità, dal turismo familiare a quello della terza età, fino all’apertura verso i mercati stranieri. Per riuscirci serve l’unione tra istituzioni e operatori, il dialogo e la volontà di crescere insieme. Non è un percorso facile, ma è già in atto grazie alle associazioni di categoria, come Confcommercio Sila Grande, e a reti di imprese come Destinazione Sila, nata nel 2017 e oggi formata da oltre 35 operatori. Lavoriamo insieme per formarci, scegliere la strada migliore e, soprattutto, capire e decidere cosa vogliamo diventare “da grandi”».
Con poche parole, dia un titolo a questa intervista. «Riprendendo quello che è proprio il payoff della nostra rete che è Destinazione Sila, il titolo più adatto è proprio Sila, felice di stupirti». (redazione@corrierecal.it)
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