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‘ndrangheta a Roma

«Se entrano qui, ammazzo prima te». La sfida dei Marando anche agli Strangio per lo spaccio a San Basilio

L’inchiesta della Dda di Roma fotografa la ferocia con cui la famiglia calabrese era pronta a difendere il proprio territorio

Pubblicato il: 18/08/2025 – 6:47
di Giorgio Curcio
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«Se entrano qui, ammazzo prima te». La sfida dei Marando anche agli Strangio per lo spaccio a San Basilio

ROMA Una parola di troppo, uno sguardo sbagliato e, soprattutto, la scelta di accompagnarsi a soggetti “poco graditi”. Tanto bastava a San Basilio per scatenare le ire dei Marando, potente famiglia legata alla ‘ndrangheta calabrese, egemone nel quartiere romano in cui lo spaccio di droga è il business più importante per il malaffare.
L’ultima inchiesta della Dda di Roma ha ricostruito i contorni di una divergenza nata tra i Marando, capeggiati dal vecchio Rosario, e due soggetti identificati come Marco e Sandrino. Uno spaccato ulteriore che, per gli inquirenti, dimostra come «la gestione degli affari legati agli stupefacenti da parte del gruppo Marando non possa prescindere dall’uso di metodi violenti e prevaricatori», tipico del metodo mafioso. A partire dalle minacce non proprio velate.

Sandrino “il coatto”

Le prime avvisaglie delle tensioni coi due soggetti risalgono al 3 dicembre 2020. Quando cioè Francesco Marando invia un messaggio a uno dei due. «Gli puoi dire a Sandrino… se non fa il coatto coi ragazzini…». E, tanto per essere chiari, rincara la dose: «Glie puoi di’ che ho detto io che se se permette n’altra volta lo scanno come un maiale…». Durante il dialogo gli inquirenti riescono a capire anche i contorni della vicenda. Francesco Marando spiegava in buona sostanza che Sandrino aveva fatto “il coatto” con tale Bruscolino, all’epoca 19enne. Un atteggiamento molto aggressivo quello di Francesco Marando, in contrapposizione con il fratello che, nel frattempo, aveva già provveduto a incontrare “Cic” e “Sa”. Luigi Marando, infatti, contatta il fratello spiegandogli «di aver appreso parlando de visu che non vi era stato alcun problema con Brus», non ottenendo grossi risultati, anzi. Francesco Marando considerava quella del fratello «un’inopportuna ingerenza nella vicenda», aggravata dall’aver «manifestato una posizione contrapposta alla sua».



Il litigio con il calabrese

Come emerso dall’inchiesta della Dda capitolina, i due accusati avrebbero chiesto un incontro con Rosario Marando per chiarirsi. Quest’ultimo, non senza reticenze, acconsente ma, prima di recersi all’incontro, avrebbe litigato al telefono «con una persona stanziale in Calabria». In buona sostanza, Sandrino avrebbe contattato per farsi difendere altri soggetti calabresi che gli inquirenti inquadrano a presunti appartenenti alla cosca Strangio di San Luca del ramo “Barbari”. A tal proposito la risposta di Rosario Marando è significativa: «(…) stai attento con gli amici miei… con quegli amici dei miei figli che non succede più un problema così, perché non ragiono più, ci siamo capiti?». E ancora: «Solo un pezzo di me**a si nasconde dietro un telefono…».

«Qua si fa quello che dico io»

A proposito del contatto calabrese individuato da Sandrino, Rosario Marando nella durissima reprimenda mette subito in chiaro un aspetto cruciale: San Basilio è comunque zona sua e, avvisa entrambi, in termini perentori, che se gli avessero permesso di “entrare” a San Basilio ne avrebbero risposto loro in prima persona. «Se tu gli dai la possibilità di mettere piede a San Basilio… il primo che ammazzo…». Una rabbia incontenibile quella del boss Marando, anche perché già in passato i due gli avevano creato problemi simili con tale Elvis. E, una volta rimasto solo con l’albanese Sagajeva, ribollendo di rabbia, dice con tono perentorio: «(…) se tu gli dai la possibilità di venire qui a San Basilio, prendo e ammazzo prima te… qua si fa quello che dico io no quello che dici tu…», riferendosi al dialogo avuto poc’anzi.

Difendere il monopolio a San Basilio

Per gli inquirenti romani l’episodio è significativo «dell’uso di un metodo mafioso da parte dei Marando per imporre a tutti i soggetti estranei al suo sodalizio di rispettare la sua autorità». Perché il divieto imposto a Sandrino di non fare entrare nelle piazze di spaccio di San Basilio l’organizzazione che fa capo al soggetto al quale ha chiesto appoggio «è finalizzato a mantenere il monopolio del traffico di stupefacenti sul quartiere che considera territorio di sua esclusiva pertinenza». A costo di fare guerra con un altro calabrese. (g.curcio@corrierecal.it)

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