Acquappesa, 8 settembre 1943: l’eccidio dimenticato dei cinque soldati calabresi
Oggi ricorre l’82esino anniversario della morte dei militari Michele Burelli, Francesco Trimarchi, Saverio Forgione, Salvatore Di Giorgio e Francesco Rovere

COSENZA Non è scritto nei libri di scuola, né commemorato nei palazzi delle istituzioni. Eppure, in Calabria, su un fazzoletto di terra di fronte al cimitero di Acquappesa, nella notte tra l’8 e il 9 settembre 1943, si consumò uno degli episodi più oscuri – e forse meno noti – della nostra storia militare. Cinque soldati calabresi, colpevoli solo di voler tornare a casa, furono fucilati alle spalle. A guerra ormai finita. O almeno così sembrava.
Michele Burelli, Francesco Trimarchi, Saverio Forgione, Salvatore Di Giorgio e Francesco Rovere: erano tutti poco più che trentenni, originari di paesi della Piana e dell’entroterra reggino. Appartenevano al 16° Battaglione del 141° Reggimento Costiero di stanza ad Acquappesa, e l’8 settembre, giorno dell’annuncio dell’armistizio, avevano già le mani legate e una sentenza di morte pronunciata.
Come ricostruito dalla Libera Università Popolare di Acquappesa, presieduta da Emilio Sciammarella, su impulso dell’avvocato e scrittore Francesco Russo e con la divulgazione del Sindacato Libero Scrittori Italiani – Calabria (presidente Luigi Stanizzi), i cinque soldati erano partiti due giorni prima, il 6 settembre, decisi a raggiungere i propri paesi. Un gesto di umanità in un’Italia in frantumi, dove il Re fuggiva, l’esercito era allo sbando, e gli angloamericani risalivano la Penisola.
Ma l’Italia di allora era ancora saldamente intrappolata nella logica spietata del fascismo, in quell’apparato militare e ideologico forgiato da Mussolini, dove l’obbedienza cieca veniva prima della vita stessa. Per quei cinque giovani calabresi non ci fu pietà. Arrestati lungo la ferrovia e ricondotti in caserma, furono processati e condannati a morte in tempi record. Le cinque bare erano pronte da due giorni.
Il generale Luigi Chatrian, comandante della 227esima Divisione di Fanteria di stanza a Castrovillari, ignorò suppliche, contesto e perfino la notizia dell’armistizio. L’ordine fu eseguito dal colonnello Ambrogi, che nel plotone di esecuzione inserì anche un cugino di una delle vittime.
Chatrian, processato in seguito, si giustificò affermando di non aver sentito la voce del generale Badoglio annunciare la fine delle ostilità. Fu assolto. Anzi, premiato: lo ritroviamo più tardi parlamentare nelle liste della Democrazia Cristiana, con incarichi pubblici di prestigio. Così va il mondo, si potrebbe dire.
Ma in Calabria, no. In Calabria la storia si tramanda ancora di padre in figlio. Ad Acquappesa, l’eccidio dei cinque soldati è diventato memoria collettiva. Una ferita mai rimarginata. E ogni 8 settembre, davanti a quel cimitero dove i giovani furono fucilati alle spalle, c’è chi si ferma, chi depone un fiore, chi si fa carico di non dimenticare.

Oggi ricorrerà l’82esimo anniversario di quella notte. Ricordare questi cinque soldati non significa solo onorare una memoria locale, ma anche restituire dignità a una pagina di storia rimasta troppo a lungo ai margini. (f.v.)
Il Corriere della Calabria è anche su Whatsapp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato