Bronzi di Riace, la nuova versione: «Recuperati a Brucoli, nascosti e venduti alla ‘ndrangheta»
A “La Sicilia” il racconto di un nuovo testimone. «Recuperati da due sommozzatori calabresi infedeli»

«Nel 1971 le statue furono solo vendute e trasferite in Calabria ma erano state recuperate a Brucoli tre anni prima a nord-est di Punta Tonnara. Furono recuperate da due esperti sommozzatori allora in servizio al nucleo Sdai della Marina militare di Augusta, il nucleo di sub specializzati nel recupero di bombe e di mine ad alta profondità».
I Bronzi di Riace, dopo tanti anni, continuano a far discutere. E le nuove rivelazioni contribuiscono ad aprire nuovi scenari attorno al ritrovamento avvenuto a Brucoli nel 1971. Il quotidiano “La Sicilia”, infatti, ha riportato l’intervista ad un settimo testimone diretto del recupero, dopo aver sentito in questi anni altri cinque testimoni: l’anziano sub, “Pippo” di Siracusa, i fratelli Marco e Mimmo Bertoni, il signor A.O. di Augusta e un sesto testimone, l’ex sub augustano Mimmo Trigilio secondo cui la notizia della presenza delle statue nei fondali di Brucoli sarebbe circolata negli ambienti dei sommozzatori fin dal 1968 e il loro recupero sarebbe avvenuto prima del 1971.
«Recuperati da due sommozzatori calabresi infedeli»
Una incongruenza, almeno apparente, spiegata proprio dal settimo testimone, un ex sub, oggi quasi ottantenne, che all’epoca dei fatti si trovava ad Augusta per lavoro, scrive ancora La Sicilia.
Secondo Franco B., dunque, i due esperti sommozzatori «erano due sottufficiali calabresi, di straordinaria capacità, uno di Gioia Tauro e l’altro di Reggio Calabria. Ovviamente erano degli “infedeli”, cioè agirono clandestinamente all’insaputa dei vertici della Marina». Secondo il suo racconto i due calabresi «si servirono di un pontone, una sorta di chiatta trainata da un rimorchiatore, dotata di gru e argano a motore, che si fecero prestare dai Cantieri Navali. I due sub calabresi, quindi, scesero giù con gli strumenti della Marina militare, li staccarono delicatamente da un fondale di circa 70 metri, li imbracarono ai cavi della gru, e i loro complici li tirarono su».

Simulato il recupero di una bomba
A La Sicilia il testimone racconta ancora che, probabilmente, per non suscitare sospetti «simularono il recupero di una bomba in fondo al mare, facendo interdire ai naviganti lo spazio delle loro operazioni. In fondo era proprio il loro mestiere». Franco B. racconta anche perché ha visto tutto: «Ero su una barca distante una decina di metri dalla chiatta, vidi le sagome delle statue completamente ricoperte da fango. I guerrieri armati erano tre, ma c’era anche tanta altra roba ma ovviamente non potevo sapere che si trattasse dei Bronzi di Riace, l’ho capito qualche anno dopo, da un amico calabrese che mi portò a vederli al museo. E li ho riconosciuti».
«Furono vendute alla malavita calabrese»
Secondo il testimone ci fu una specie di caccia al tesoro, ma i due calabresi «giocarono d’anticipo» anche perché poi i Bronzi «vennero nascosti dentro alcune barche militari e portati via mare in una grotta in fondo al canale di Brucoli, nell’antico lavatoio. Poi furono spostati più volte per far perdere le tracce». E ancora: «Prima furono sepolti non lontano dal convento dell’Adonai e poi, per sfuggire ai controlli, furono riportati in mare e sepolti lì vicino, in un fondale di circa 20 metri di profondità». Successivamente «i sommozzatori calabresi contattarono personaggi della malavita calabrese e riuscirono a vendergliele. Le statue furono di nuovo tirate su e l’indomani furono imbarcate per la Calabria. Ma le operazioni vennero condotte con coperture politiche importanti». (Gi.Cu.)
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