Le minacce del clan all’imprenditore «poco ossequioso» con la figlia di Pino Piromalli. «Ricordati che sei un ospite a Gioia Tauro»
Le parole del boss, che si paragona a un «Santo che protegge i suoi fedeli, però se meritano». La reazione al «comportamento irriguardoso» considerato un «affronto»

REGGIO CALABRIA «Il Santo protegge i suoi fedeli, però se meritano! se poi sono luciferi li caccia il Santo e “voi state dimostrando che siete come proprio come lucifero…”» Una parabola per spiegare quale comportamento adottare se di fronte hai qualcuno che porta il cognome Piromalli: «Gli devi dire in questa maniera: ”mi ha mandato compare Pino». Si paragona a un «Santo che protegge i suoi fedeli», Giuseppe “Pino” Piromalli, il boss conosciuto da tutti come “Facciazza” che a Gioia Tauro ha imposto regole mafiose che non sarebbero state scalfite dai 20 anni trascorsi al 41 bis. All’età di 80 anni, il super boss della Piana, spiegava così cosa significava stare sotto l’ala “protettrice” della cosca di ‘ndrangheta. E guai a chi non si dimostrava abbastanza «ossequioso». Come nel caso di un imprenditore che di fronte alla richiesta della figlia di Piromalli di permutare l’auto non si sarebbe dimostrato troppo disponibile, e che per questo avrebbe meritato una punizione. Un episodio che dimostra il modus operandi del clan tornato alle origini, nuovamente sotto l’egemonia di Pino Piromalli dopo la sua scarcerazione nel 2021, e raccontato nelle carte dell’inchiesta “Res Tauro” della Dda di Reggio Calabria, che ha portato a 26 misure cautelari.
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L’affronto al clan e la punizione all’imprenditore: «Qua ci sei tu perché lo ha voluto Pino Piromalli»
«…quando mia figlia è venuta qua voi dovevate prendere una macchina nuova… dice «signora qua c’è la macchina», così sappiamo fare noi… non che lo fate per forzatura… “». Così, secondo il boss, si sarebbe dovuto comportare l’imprenditore, vittima poi di minacce da parte del clan. La sua colpa: non aver riservato un trattamento di favore nei confronti della donna, che poi si sarebbe lamentata con il padre. Insomma un vero e proprio «comportamento irriguardoso» da leggersi quale «affronto».
Su ordine di Piromalli, infatti, viene messa in atto un’azione estorsiva tipicamente mafiosa, volta a riaffermare il predominio della cosca Piromalli sul territorio e secondo uno schema operativo tipico dell’organizzazione mafiosa. Una azione – ricostruiscono gli investigatori – in cui emerge chiaramente il ruolo di Antonio Zito, che appare – secondo l’accusa – «non solo l’istigatore ed ideatore della condotta ai danni dell’imprenditore, ma è anche colui che, per primo, durante la carcerazione di Pino Piromalli, aveva punito violentemente l’onta dell’imprenditore, reo di non aver trattato con il dovuto rispetto la figlia del capocosca”. Zito ottiene il placet del capocosca per l’estorsione avente ad oggetto la completa riparazione della sua auto, solo per verificare la “fedeltà” dell’imprenditore alle imposizioni mafiose dei Piromalli sul territorio gioiese. Nell’episodio risultano coinvolti anche Giuseppe Zito e Rosario Bruzzese, quest’ultimo viene indicato dal Piromalli come colui che avrebbe richiesto il “conto” a carico del capocosca, «circostanza questa – secondo l’accusa – chiaramente indicativa dell’imposizione mafiosa e della forza intimidatrice, derivante dalla semplice pronuncia del nome di Pino Piromalli». «Ricordati che sei sempre un ospite a Gioia» avrebbero detto gli uomini del clan all’imprenditore di origini reggine, il quale sarebbe stato anche redarguito pubblicamente. E ancora: «Sbirro di merda…», «..qua ci sei tu perché lo ha voluto Pino Piromalli, sennò non era cosa che stavi qua.. vattene…». (m.ripolo@corrierecal.it)
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