«Il Ministro sta a Roma e noi stiamo qua». Il boss Pino Piromalli e il diktat al preside per far spostare la classe della nipote vicino casa
Una questione di famiglia che diventa un “affare” criminale. Dimostrazione di un potere assoluto: «A Gioia Tauro si fa quello che decide compare Pino»

REGGIO CALABRIA Non solo minacce ed estorsioni agli imprenditori, ma anche interventi in ambienti che all’apparenza potrebbero sembrare lontani da contesti legati a interessi criminali. Ma è così che una questione di famiglia diventa un “affare” criminale da sottoporre a uno dei boss più potenti e influenti della ‘ndrangheta. «Quando c’è traffico, c’è un macello», per questo la figlia di Pino Piromalli pretendeva che il preside della scuola della figlia spostasse la classe dall’edificio scolastico in zona marina all’altro più vicino alla propria abitazione. Una questione di “comodità” che la figlia del boss della Piana sottopone al padre, il quale senza batter ciglio tenta di esaudire la richiesta. Un episodio che emerge dalle numerose intercettazioni contenute nell’ordinanza dell’inchiesta “Res Tauro” della Dda di Reggio Calabria e che gli investigatori in conferenza stampa hanno portato come esempio dello strapotere del boss 80enne sul territorio di Gioia Tauro. Un potere che Piromalli aveva mantenuto nonostante i vent’anni trascorsi in carcere, dopo i quali nel 2021 aveva riacquistato il pieno controllo del territorio.
«A Gioia Tauro si fa quello che decide compare Pino»
«A me interessa per una questione di comodità mia». La richiesta della figlia del boss è chiara. Parole inequivocabili, secondo gli investigatori. «Con un lessico che non si presta ad interpretazioni alternative, la donna chiariva che l’esigenza di uno spostamento di classi atteneva a ragioni di comodità”. Tanto bastava a “Facciazza” per determinarsi ad esaudire il desiderio della figlia («se vogliono.., faccio andare a suo cognato, quello là… del… inc… ora lo mando a chiamare…», chiarendo che se il dirigente non avesse assecondato quella istanza «si prende le cose e se ne va».
Un potere a tutto campo, quello del boss. Secondo la logica degli interlocutori, infatti, il dirigente scolastico, avendo scelto di lavorare a Gioia Tauro doveva adeguarsi alle regole di ‘ndrangheta lì vigenti, ossia sottomettersi al volere dei membri della cosca: «Ora, io gli ho detto che fino a che campo e il signore vuole, a Gioia Tauro si fa quello che decide compare Pino… se dice “no, non voglio fare… non lo posso fare… “pigliati la valigia e vattene che tu… inc…». Un controllo totalizzante che emerge ancor di più dalle parole che il boss pronuncia poco dopo: «Il Ministro sta a Roma e noi stiamo qua!». E a Gioia Tauro, anche a detta della figlia di Piromalli, la regola era una: «Gli è piaciuto venire a Gioia a scuola!?». (m.ripolo@corrierecal.it)
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