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Le risposte della prof Melania Salazar

Zitti tutti (ma solo offline): ha ancora senso il silenzio elettorale?

Che senso ha insistere su un sistema ormai superato, nell’era dei social dove nulla resta segreto e tutto è subito online? Non è evidente che abbia perso qualsiasi ragione di esistere?

Pubblicato il: 04/10/2025 – 16:49
di Paola Suraci
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Zitti tutti (ma solo offline): ha ancora senso il silenzio elettorale?

REGGIO CALABRIA Oggi la Calabria vive il giorno del silenzio elettorale, la vigilia di una scelta che orienterà il futuro politico della regione. Le piazze si sono svuotate, i comizi sono finiti, i manifesti restano immobili sulle pareti: è il momento in cui la propaganda si ferma per lasciare agli elettori lo spazio della riflessione. Il silenzio elettorale non è solo una tradizione: è una regola scritta nero su bianco quasi settant’anni fa. La legge 4 aprile 1956, n. 212, stabilì che nelle 24 ore che precedono il voto non si potevano tenere comizi, né organizzare riunioni di propaganda in luoghi pubblici, e vietava nuove affissioni di manifesti. Nei giorni di voto, era proibita ogni forma di propaganda entro 200 metri dall’ingresso dei seggi. Negli anni Ottanta, con il decreto-legge 807 del 1984, convertito nella legge 10/1985, il divieto fu esteso anche alle emittenti radiotelevisive private. Oggi chi infrange queste norme rischia multe da 103 a oltre mille euro.
Ma questa normativa, scritta in un’Italia che comunicava attraverso comizi e manifesti, non ha mai aggiornato il suo linguaggio al mondo digitale. Così, mentre in Calabria il silenzio cala nelle strade, sui social network la campagna rimane viva: post, video e condivisioni continuano a circolare senza violare formalmente la legge, rendendo il silenzio solo apparente.
Che senso ha insistere su un sistema ormai superato, nell’era dei social dove nulla resta segreto e tutto è subito online? Non è evidente che quella legge abbia perso qualsiasi ragione di esistere?
Per convincere, influenzare, fare pressione. Giorgio Gaber, con il suo stile sarcastico e provocatorio, descriveva in una sua canzone la giornata de voto. “Una mattina molto bella/anche la strada è più pulita/senza schiamazzi e senza suoni/E poi la gente per la strada/li vedo tutti più educati/sembrano anche un po’ più buoni…”. Ne abbiamo parlato con Melania Salazar, prof. ordinario di Diritto costituzionale e pubblico all’Università Mediterranea di Reggio Calabria.

Professoressa, come si concilia il silenzio elettorale con la permanenza dei messaggi sui social?

«Secondo l’articolo 48 della Costituzione, il voto è – id est: “deve essere” – personale ed eguale, libero e segreto. Su ognuno di questi caratteri, reciprocamente connessi l’uno all’altro, potremmo parlare all’infinito, ma limitando il discorso alle problematiche connesse alla sua domanda, è evidente che la previsione del cosiddetto silenzio elettorale chiama in gioco in modo preminente il carattere della libertà del voto. Per la verità, anche fermando il ragionamento soltanto su questo specifico versante affiorano tematiche molto complesse, come ad esempio quelle legate al diritto all’informazione, che – afferma la Corte costituzionale, nel quadro di un ampio e ricco orientamento – va determinato e qualificato in riferimento ai principi fondanti della forma di Stato delineata dalla Costituzione, i quali esigono che la nostra democrazia sia basata su una libera opinione pubblica e sia in grado di svilupparsi attraverso la pari concorrenza di tutti alla formazione della volontà generale (sentenza n. 112 del 1993).
Tuttavia, ricorda ancora la Corte in un’altra importante decisione, tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile, pertanto, individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri: tutti sono sottoponibili a limitazioni, nei singoli casi, proprio perché nessun diritto può diventare “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona (sentenza n. 85 del 2013). Dunque, anche il diritto all’informazione, che presuppone la libertà dei media di ricercare e diffondere le notizie in un quadro di pluralismo informativo, può subire limitazioni, purché esse appaiano ragionevoli, e perciò – in primo luogo – giustificate dalla tutela di uno più principi o diritti costituzionali. In questa luce, il silenzio elettorale si pone, a mio avviso, come un fattore che favorisce la libertà del voto, mirando a costituire uno spazio di riflessione che consenta all’elettore di riflettere al riparo dalle molteplici suggestioni provenienti dalla campagna elettorale, e di mettere a confronto le proposte ed i programmi formulati dai diversi candidati. È questo un modo, si può aggiungere, per consentire che nella libertà del voto si rifletta la libertà di coscienza di ognuno.
Si badi che nella Costituzione italiana il perno dell’ordinamento è costituito dalla persona, intesa come motore di relazioni sociali, e non dall’individuo atomisticamente considerato: dunque, nella prospettiva costituzionale lo spazio di riflessione di cui stiamo parlando non va immaginato come un vuoto assoluto nel quale il singolo assume in solitudine la sua decisione, ma come una dimensione dialogica, in cui l’elettore sceglie liberamente per chi votare (anche) in esito a un confronto con il proprio nucleo di relazioni. affettive, familiari, amicali, professionali, e così via».

Serve una nuova legge?

«La risposta a questa domanda non è facile, perché non è possibile immaginare possibili riforme su questo punto, come su ogni altro aspetto relativo alla comunicazione attraverso i media, senza ampliare il discorso, al fine di tenere conto delle trasformazioni della libertà di manifestazione del pensiero derivanti dall’evoluzione tecnologica, e degli effetti, non sempre benefici, che ne derivano sulla formazione dell’opinione pubblica. Ormai è diffusa la consapevolezza, anche al di fuori della cerchia degli “addetti ai lavori”, che l’avvento di Internet, la diffusione dei social media, le infinite potenzialità dell’intelligenza artificiale contribuiscono ad alimentare continui ed inediti fenomeni di disinformazione a livello globale, che per ovvi motivi appaiono particolarmente preoccupanti per la tenuta della democrazia, e che non è facile regolare e governare. In proposito, l’articolo 1 della recentissima legge di delega sull’intelligenza artificiale (legge n. 132 del 2025), prospetta la necessità di un «utilizzo corretto, trasparente e responsabile, in una dimensione antropocentrica, dell’intelligenza artificiale, volto a coglierne le opportunità», e promuove «la garanzia della vigilanza sui rischi economici e sociali e sull’impatto sui diritti fondamentali dell’intelligenza artificiale». L’articolo 4 della stessa legge afferma: «l’utilizzo di sistemi di intelligenza artificiale nell’informazione avviene senza recare pregiudizio alla libertà e al pluralismo dei mezzi di comunicazione, alla libertà di espressione e all’obiettività’, completezza, imparzialità e lealtà dell’informazione». Si tratta di princìpi cui il Governo dovrà attenersi nella predisposizione dei decreti legislativi attuativi della delega: è un buon inizio, ma la strada da percorrere è ancora lunga e impervia».
Mai come ora, in Calabria, questo silenzio elettorale, questo spazio di riflessione è necessario. Tra le sfide irrisolte della sanità, le difficoltà occupazionali, le infrastrutture e la lotta alla criminalità, il voto regionale rappresenta un passaggio decisivo. Sta agli elettori, in queste ore sospese, isolarsi dal rumore e ritrovare il senso profondo del silenzio: scegliere con consapevolezza il futuro della propria terra. (redazione@corrierecal.it)

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